Relativo cosa significa? Tutto e niente. Il pescatore che va a pesca e il pesce che viene pescato hanno due visioni relative della pesca eppure la pesca c’è. Il mafioso che fa sbarcare gli americani in Sicilia e a Salerno e che ne trarrà vantaggi per decenni e il milite che si fa invece uccidere per difendere il suolo patrio hanno due visioni relative dell’invasione americana eppure l’invasione c’è. Non è il fatto in sé ma il volerlo considerare da un unico punto di vista ad “assolutizzare” la concezione che si pretende d’imporre; e così che l’invasione americana diviene “liberazione” e tale “verità” non può essere discussa, anche contro ogni evidenza.
Chi pretende di fare di una parzialità la totalità
Chiunque intervenga a imporre “verità assolute” non persegue l’assoluto ma prova a fare della sua parzialità una totalità. E di qui, procedendo per mistificazioni filosofiche e filologiche, discendono i fondamentalismi e gli integralismi che, nella pretesa di rappresentare il Tutto procedono per mutilazioni, repressioni, soffocamenti, avvilimenti e producono infinite, ripetitive, scissioni interne, sedizioni e ribellioni fondate sul medesimo schema concettuale che, da Sant’Ambrogio a Pol Pot, non muta mai.
Ecco perché l’asserzione del Papa è priva di autentico fondamento, innanzitutto perché confonde, scientemente, i significati fondanti del pensiero e poi perché trasforma la realtà storica e l’attualità.
A soccorso dell’asserzione papale interviene però un malinteso di fondo. Esso riguarda la de-sacralizzazione e il dis-incanto del mondo (cui la rivoluzione cristiana del IV secolo diede peraltro un forte avvio). Si finisce così con il considerare “relativisti” coloro che non riconoscono certezze che li trascendono e “assolutisti” invece i credenti.
Come da “I duellanti”
Questo ragionamento, cui sono di certo più sensibile, è comunque falsato da sovrapposizione.
Che da sempre i nostri popoli abbiano sentito il sacro e abbiano provato e coltivato un istinto metafisico è un dato di fatto, così come lo è che abbiano saputo ripetere i riti e sacralizzare gli spazi. La cesura che non avviene nel XVIII secolo ma nel IV con l’espulsione del divino dal mondo, che si considera imperfetto, e con la contrapposizione ad esso dell’al di là, apre di colpo la porta alla confusione delle Idee di cui si nutre anche la polemica sul relativismo.
Perché, appunto, si perde e anzi si mistifica ogni percezione di quell’Assoluto che ogni parte avoca a se stessa e di cui si vuole unilateralmente custode.
L’Assoluto – c’insegnano tutti i patres – è ciò che precede, ciò che significa ogni atto, ciò in cui ogni parte della pluralità si fa universa, la sua origine e il suo fine, ed è percepibile e raggiungibile in innumere forme. Tante quanti sono gli archetipi e anche molte di più. Rammento una scena bellissima del film “I duellanti” in cui si vede come un ciabattino, da scrupoloso e impersonale artigiano, possa perseguire la perfezione non soltanto non peggio ma addirittura meglio di un nobile guerriero. Tanti sono gli dei, tanti sono i santi, tanti sono i modi per raggiungere l’Alfa-Omega e ognuno ha il suo ma deve riconoscerlo: “Conosci te stesso” ammonivano gli Elleni. Te stesso, non l’informe-uniforme valido per tutti. Questo vale per gli uomini e anche per le loro re-ligioni. Solo un presuntuoso, un arrogante o un demente può sostenere che sia impossibile raggiungere uno stadio di realizzazione altrettanto nell’islam, nel buddismo, nell’ebraismo, nell’induismo, nel cristianesimo.
Relativismi che si vorrebbero come Assoluto
Sono, comunque, tutte vie relative (o comunque nel relativo) che anelano l’Assoluto, non sono vie assolute, altrimenti non sarebbero più d’una. Sia chiaro: è da rigettare il supermercato del sacro, ovvero la logica contemporanea per la quale si può scegliere una religione a piacimento. Ci sono elementi culturali, etnici, linguistici che si sublimano nelle religioni che non sono, dunque, espressioni individualistiche. Tutte hanno un valore connettivo importante che cessano però di assumere nel momento stesso in cui provano proprio ad assolutizzare il loro relativo e a obbligare così tutti a ragionare in modo dogmatico, fondato sui divieti e le proibizioni.
Quando procedono così invertono la loro funzione e allontanano irrimediabilmente da ogni centralità e da ogni trascendenza.
Ed è questo che i vertici dei cleri tendono spesso a imporre, è questo il plurisecolare desiderio del Vaticano che si sposa con l’usurpazione voluta – ma mai riuscita per insuperabile inadeguatezza ontologica – dell’Imperium.
Quello del Papa è relativismo puro
L’attacco del Papa al relativismo è, insomma, relativismo puro, aggravato dall’angoscia di chi vorrebbe sfuggire alla sua essenza, alla sua natura, al suo limite, per farsi altra cosa, con un impulso diametralmente opposto a quello tradizionale che, nell’accettazione e nell’immedesimazione della sua funzione e dei suoi limiti, fa appunto la perfezione del ciabattino.
Un relativismo che si pretende “assolutismo”, ovvero il suo contrario, è invece inequivocabilmente figlio e padre dell’infelicità perché procede in una logica non solo diversa ma inversa rispetto alle millenarie, tradizionali, aperture all’Assoluto.
Non si tratta quindi, come dice Benedetto XVI, di scegliere oggi tra relativismo e assolutismo, cosa letteralmente impossibile che non produce altro che relativismi intolleranti, ma di decidere come orientarsi per uscire dall’angustia quotidiana.
Utopia contro Mito
Predomina nel post-bellico la scelta dell’Utopia che genera immancabilmente e soltanto massacri e fallimenti, la scelta giusta è invece quella del Mito che, partendo dagli archetipi e proponendo modelli permette di agire sul quotidiano innalzandolo. Il Papa questo non può però affermarlo e deve perdersi in trappole dialettiche perché, prima, dovrebbe gettarsi alle spalle tutto l’impianto utopico e intollerante derivato dall’Antico Testamento che, nel Cattolicesimo, convive con quanto, invece, va nella giusta direzione. E che, tra l’altro, su di esso sta guadagnando terreno giorno dopo giorno. Del che, se fossi un fedele cattolico, mi preoccuperei perché è risaputo che la morte delle civiltà e delle religioni è solitamente preceduta da un recupero enfatico dello spirito inziale, che nello specifico fu appunto veterotestamentario. Malgrado lo sforzo del teologo Ratzinger l’impressione è che la Chiesa, pur guadagnando terreno nella distribuzione del potere globale, stia davvero con l’acqua alla gola dal punto di vista dell’energia interna e degli orizzonti spirituali.