sabato 27 Luglio 2024

Tokyo e Mosca

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Scissione e unità nella visione di Abe

Il trattato di pace di San Francisco del 1951, che ha posto fine alle belligeranze fra il Giappone e 48 paesi del mondo, è uno degli eventi spartiacque più significativi della storia recente giapponese in quanto ha consacrato l’entrata definitiva del paese nel blocco occidentale. Con quel trattato, il Giappone è diventato il principale custode degli interessi statunitensi nella sinosfera e le storiche rivalità con il vicinato russo-cinese sono state sfruttate sapientemente dagli Stati Uniti per consolidare la funzione di contenimento nei confronti di entrambi.
Dal 1951 ad oggi nulla è cambiato, poiché l’agenda di Tokyo per Pechino e Mosca continua ad essere scritta e dettata da oltreoceano. Mentre i rapporti bilaterali con la Cina continuano ad essere permeati da una particolarmente elevata ostilità, per ragioni storiche che precedono l’arrivo delle potenze occidentali nell’Estremo oriente, quelli con la Russia sono indubbiamente meno conflittuali, ma la completa normalizzazione è ostacolata dalla questione delle isole Curili.

Gli eventi di maggio e giugno
A Mosca, il 12 giugno di ogni anno si celebra il “giorno della Russia”, una festività introdotta nel 1992 per commemorare la nascita della federazione dalle ceneri dell’Unione Sovietica. In occasione della ricorrenza, il presidente di turno rivolge un discorso alla nazione e quest’anno, Vladimir Putin, ha parlato dell’importanza del prossimo referendum costituzionale e “di preservare la memoria degli antenati”. Un passaggio che è stato meno evidenziato ma che, in realtà, è denso di significato è il seguente: “Per tutti noi, la madrepatria è famiglia e casa, la terra natìa che va da Kaliningrad alla Kamchatka e alle isole Curili, dai mari settentrionali artici a Sebastopoli e alla Crimea”.
Con quella frase, il presidente russo ha voluto ribadire quale sia lo status di appartenenza della penisola crimeana, per la quale il paese è stato colpito da un regime sanzionatorio ancora in piedi, e delle isole Curili, sulle quali Tokyo continua a reclamare sovranità.
La controversia delle Curili nasce all’indomani della fine della seconda guerra mondiale a causa del rifiuto dei sovietici di abbandonare le isole Iturup, Kunashir, Shikotan e il gruppo delle Habomai, conquistate durante la campagna dell’agosto 1945. Per Mosca, l’inglobamento delle Curili meridionali era, ed è, ritenuto fondamentale ai fini dell’allontanamento dello spettro di una presenza militare statunitense in prossimità della Kamchatka. I giapponesi, però, hanno vissuto quella perdita coatta di sovranità come un furto territoriale e non hanno mai smesso di combattere diplomaticamente per riportare la situazione al pre-guerra.
A fine maggio, il ministro degli esteri giapponese, Toshimitsu Motegi, ha rilasciato alcune anticipazioni sulla pubblicazione del Libro blu diplomatico per l’anno 2020, il documento che delineerà le priorità strategiche di Tokyo nel prossimo futuro. Motegi ha confermato che il Libro blu ribadirà la volontà di Tokyo di stabilire piena sovranità sui “territori settentrionali” (ndr. isole Curili meridionali) e che le trattative di pace fra i due paesi ambiscono al conseguimento di tale obiettivo: “La posizione basilare del Giappone è che noi intendiamo continuare il dialogo per risolvere la disputa territoriale e siglare un trattato di pace. Abbiamo discusso diverse volte di questo argomento con il ministro russo Lavrov. I nostri approcci divergono ma siamo entrambi guidati da un accordo fatto dai nostri capi […] la dichiarazione congiunta del 1956”.

Gli sforzi di Abe
Il primo ministro giapponese Shinzō Abe, in carica dal 2012, ha tentato di riuscire laddove i suoi predecessori hanno fallito: risolvere la disputa territoriale, almeno parzialmente, e siglare un accordo di pace con la Russia. Quest’ultimo punto è dovuto al fatto che l’Unione Sovietica non partecipò ai lavori del trattato di San Francisco e le ostilità con il Giappone furono messe da parte con una dichiarazione congiunta del 1956.
Per portare a compimento questi due obiettivi, Abe ha visitato la Russia ben 11 volte fra il 2013 ed il 2019 e ha provato a mantenere un atteggiamento quanto più equidistante all’indomani dell’inaugurazione del neo-contenimento da parte della seconda presidenza Obama, palesato da Euromaidan e dal conseguente regime sanzionatorio. Il posizionamento del Giappone all’interno del blocco occidentale, però, non ha dato possibilità di scelta ad Abe: il governo ha aderito alla campagna internazionale di pressioni e sanzioni, ma mantenendo al tempo stesso un profilo timido, marginale e distaccato.
Il Giappone è stato l’unico membro del G7 a non espellere il personale diplomatico russo dal paese dopo lo scandalo di Sergei Skripal del marzo 2018 ed è anche divenuto ospite fisso del Forum Economico di Vladivostok, la controparte orientale del Forum di San Pietroburgo. Abe ha anche mostrato maggiore pragmatismo rispetto ai predecessori, puntando al recupero della sovranità soltanto su Shikotan e sulle Habomai ed abbandonando le rivendicazioni sull’intera parte meridionale dell’arcipelago.

Le Curili, perché sono importanti?
Gli sforzi di Abe non hanno portato i risultati sperati perché Putin non ha mai mostrato reale volontà di dare seguito alle dichiarazioni di circostanza. Il motivo dell’immobilismo russo è legato ad un ragionamento di pura e semplice realpolitik: non è nell’interesse del Cremlino cedere le isole, il cui controllo viene ritenuto legittimo sulla base dello status quo creatosi con la fine della seconda guerra mondiale e trova, anche, parziale fondamento in alcuni punti del trattato di San Francisco.
Inoltre, un eventuale dietrofront potrebbe avere ricadute molto profonde in un paese come la Russia, afflitto dalla piaga dei separatismi etnici, ed è molto vivo e sentito il timore che le isole, una volta cedute, possano essere convertite ad uso militare su pressioni statunitensi, ponendo una minaccia diretta, vicina e concreta all’Estremo oriente russo. Neanche le ripetute rassicurazioni di Abe in tal senso hanno convinto Mosca, la cui tradizionalmente scarsa fiducia in Tokyo si è ulteriormente abbassata nel secondo dopoguerra e per un motivo non trascurabile: è diventato il più fedele alleato di Washington nella regione.

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