sabato 20 Luglio 2024

Vecchie e nuove sovranità

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Se il presidente della Fu Repubblica capitola pubblicamente

Nel fine settimana Giorgio Napolitano ha fatto un discorso chiarissimo cui non ha però fatto seguito l’atto dovuto.
Il presidente della Fu Repubblica ci ha informati che dobbiamo cedere la nostra sovranità nazionale. Dopodiché avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni e togliere il disturbo. Invece ce lo ritroviamo ancora a ricoprire a spese pubbliche una carica che – ci ha appena affermato – non ha più senso.

Sovranità già cedute
Parliamoci chiaro anche noi. Napolitano non ci ha detto nulla di nuovo. Solo chi non sa dove vive non si è accorto che le residue sovranità statali e quelle nazionali sono poche e irrilevanti.
Per cederle anzi dovremmo cercare bene al fine di trovarne qualcuna che non sia stata ancora dismessa.
Nel processo di “globalizzazione” e nel progetto di “ristrutturazione” dominato dall’alta finanza gli Stati sono ridotti a meccanismi, a strutture prive di autorità e di sovranità.

Il quadro lo ha reso perfettamente il presidente della Cassa Depositi e Prestiti, Franco Bassanini, così come riportato da Lotta Comunista di settembre. “Cessioni di sovranità più rilevanti e più pervasive di quelle oggi cedute alle istituzioni europee sono avvenute in questi anni senza che nessun governo le abbia proposte o approvate e hanno avuto come beneficiari soggetti non democratici, come banche d’affari, multinazionali, shadow banks, hedge funds, agenzie di rating, fondi sovrani, organismi internazionali di regolazione non governativi.”
Non fa una grinza.

Per Bassanini, quindi, la cessazione verso istituzioni comunitarie sarebbe un mezzo correttivo in quanto “una sovranità condivisa e ceduta a istituzioni comuni è l’unica alternativa a una sovranità sempre più amputata di poteri vitali”.
Ci sarebbe molto da obiettare se la conformazione e la filosofia della Ue restano queste.
Ma il dato centrale della fotografia di Bassanini è la fotografia stessa: le sovranità nazionali sono andate altrove, letteralmente centrifugate (e attratte a Bankland per forza centripeta), evaporate.

Non si difende quel che non si ha
Adesso verranno innalzati scudi, emesse urla di sdegno, lanciati appelli alla difesa della sovranità.
Il problema è che non si può difendere quello che non si ha più, va semmai ricostruito.
E non lo si può ricostruire su di un modello vecchio; in primo luogo perché la storia non lo consente mai, in secondo luogo perché i suoi residui difensori sono forniti, sempre, di debolezza intrinseca.
Infine perché i rapporti di forza e i margini di manovra sono schiaccianti.
Le sovranità nazionali sono state traslate ad uno spazio supernazionale e transnazionale al quale ci si può sottrarre in soli due modi.
Con un cambio di modello localizzato (con tanto di decrescita, uscita dal consumo, acquisizione di povera frugalità) oppure con l’allargamento della sovranità ad un livello di potenza continentale o subcontinentale, ma comunque dotato dei fondamentali (sovranità valutaria, produzione, demografia, armamento, ecc)
Tutte cose su cui possiamo poco o nulla al momento.
Mentre possiamo porci invece attivamente nei confronti della capitolazione dello Stato e in quelli della costituzione degli Stati Uniti d’Europa – nel periodo intercorrente tra il solve e il coagula – e farlo in modo costruttivo.

Singolarmente dieci giorni prima delle esternazioni del presidente della Fu Repubblica, affrontavo la questione nel mio documento In fase di golpe di cui cito i brani più attinenti.

Tutto è cambiato ma si fatica a prenderne atto
La gente non si rende neppur conto del disastro sociale ed economico alla quale è avviata, di come tutto quello a cui è stata abituata per decenni non esista più né verrà riesumato, a iniziare dai diritti sociali per proseguire con quelli politici e civili.
Né è pensabile sperare di uscirne con una svolta governativa; non solo perché, stanti i rapporti di forza mondiali, essa non avrà luogo se non per ordine della Trilaterale o della Goldman Sachs, ma anche perché non esiste più sovranità nazionale. Quel che sussisteva come puro simulacro è stata ceduta ufficialmente da Monti alle banche internazionali con il fiscal compact. E non c’è  modo di cambiare le cose, neppure dal governo e con una solida maggioranza, se da un lato il quadro internazionale e, soprattutto, supernazionale non muta e se dall’altro non si articola una dinamica di sovranità “a domino”, dal locale fino al vertice europeo, con l’affermazione di una governance opposta – nel segno e nel senso  – a quella che sta delineando la Trilaterale. Una governance immaginata in una logica  confederata e non federale, con la proprietà della Banca Centrale e della valuta da parte delle componenti nazionali, con la frenata e la revisione, in Italia, della regionalizzazione e il rilancio invece delle provincie, in modo da esprimere realtà radicate, organiche, coordinate e con partecipazione popolare diretta. (…)

Indispensabile è la lucidità
Serve la lucidità di pochi per poter definire i rapporti di forza, le logiche, le dinamiche, le evoluzioni dell’avanzata oligarchica, i loro effetti a ricasco; e poi quali settori sociali, culturali, geografici, politici, nazionali e internazionali sono degni d’interesse per poter tracciare una linea che sia al contempo localista, libertaria, sociale, nazionale, europea, indipendentista, eurasiatica e mediterranea.
Bisogna avere chiaro il senso e la portata della cessazione di sovranità e non contrapporvi ciò che fu e che non può essere, bensì ciò che può costruirsi e che può essere. Non è a caso che abbiamo parlato, e torniamo a farlo, di una dinamica di una nuova sovranità “a domino”, dal locale fino al vertice europeo.
La linea di difesa nella controffensiva è sempre avanti, mai indietro. (…)

Così si può proporre ad esempio una subordinazione politica della Bce all’Europa che la eserciterebbe per quote confederate, attribuite per nazioni, o per insieme di nazioni affini (tipo Benelux ma anche Paesi Baltici o Paesi Scandinavi) tenendo conto di più fattori (produzione, pil, stabilità finanziaria, demografia, equità sociale, politica ambientale, salvaguardia delle culture e delle tradizioni).
La partecipazione al direttivo, assegnata pro quota, dovrebbe essere affidata alle diverse forze e categorie produttive delle nazioni europee esprimendo così una proprietà confederata e una gestione corporativa della Banca Centrale, sottomessa alla politica e alla sovranità pubblica. Ogni sei o dodici mesi si potrebbe eleggere un governatore con ampi poteri decisionali ma chiamato a tener conto del direttivo confederato e corporativo e a rispondere alla sovranità popolare della valuta.
Avanti nello spazio e nel tempo.

Importantissimo è esprimere un sistema di soluzioni in vista di una nuova sintesi futuribile, ma non basta; se non si avesse la percezione precisa del reale tutto questo sarebbe pura e semplice “ideologizzazione”. Non è con le formule e con i disegni, per belli che siano, che si cambiano le cose; bisogna tener conto delle possibilità e dei momenti.

Consolidare dal basso
Significa realizzare convergenze e iniziative che producano non solo cooperative legate al territorio, alle categorie, alle fasce sociali, ma anche casse di risparmio, banche sociali e di mutuo soccorso. Pazzesco se lo s’intende come prodotto velleitario di una minoranza improvvisatrice, dilettantesca e scalcagnata, realizzabilissimo invece come prodotto comune, d’insieme, nella trasversalità della gente comune, delle categorie produttive non protette. E vuol dire rafforzare quelle categorie, contribuire a immaginare e a realizzare impianti solidali d’impresa, d’impiego, di produzione e di distribuzione, in controtendenza rispetto ai diktat dello Sceriffato di Montingham.
Significa, in altre parole, creare contropotere sociale, politico e civile.

L’anarca
Quando lo Stato si è trasformato in Antistato, in Superstato che sfrutta, schiaccia e spreme i sudditi e che non ha dimensione né vocazione nazionale, la risposta è una forma di anarchia.
Sia pure con qualche sfumatura svizzera, perché orientata ad un’estraneità convivente e non ad un’illegalità avventuristica.
Anarchia organizzata, anarchia organica. Un’anarchia che dovrebbe essere intesa jüngerianamente secondo la figura dell’Anarca che si contrappone a quella dell’Anarchista.
Che ha in sé, di proprio, di chiaro, una verticalità esistenziale e l’idea stessa dello Stato.
L’Anarca farà sopravvivere lo Stato allorché chi ne ha usurpato le funzioni e le istituzioni ne avrà ucciso l’anima e il destino. L’Anarca ha dentro di sé l’idea del Monarca, non inteso ovviamente in senso dinastico ma, al tempo stesso, principiale e cesaristico.

In conclusione
Insomma possiamo agire per costruire la nuova sovranità, innanzitutto dentro di noi, poi intorno a noi – nella logica delle autonomie e del tutto a prescindere dalla geografia istituzionale – e infine dandole verticalità e respiro strategico.
Oppure possiamo limitarci a scandalizzarci, a strillare, a contrapporre alla trasformazione in atto il ritorno a un’ipotetica età dell’oro democristiana e primorepubblicana o a pretendere da una classe politica, che comunque non ne avrebbe né il coraggio né la voglia, di assumere fieramente dei poteri che non ha.
Immagino che sarà proprio questa la scelta più gettonata perché più facile e più consona alla pigrizia mentale. Ma ne esiste un’altra che non si esaurisce nell’autocompiacimento privo di prospettive.

 Per richiedere l’intera versione del documento politico scrivere a ga@gabrieleadinolfi.it

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