sabato 20 Luglio 2024

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I soldati andranno a lezioni di patriottismo

Suvorov, Kutuzov, Zhukov, e tutta la “scienza della vittoria” come la chiamavano una volta nelle accademie militari sovietiche. Il ministro della Difesa Serghei Shoigu ha ordinato corsi obbligatori di storia delle forze armate nazionali, al fine di “migliorare il sentimento patriottico e il clima culturale” nelle caserme. I soldati dovranno seguire i corsi e superare poi gli esami.
Resta poco chiaro se i corsi di storia comprenderanno solo le vittorie e le glorie, o si parlerà anche di sconfitte e di “guerre sporche” come l’Afghanistan e la Cecenia. Shoigu, uno dei fedelissimi di Vladimir Putin, per anni popolare ministro della Protezione Civile che accorreva efficiente nei numerosi disastri russi tenendosi apparentemente lontano dall’ideologia, al trasloco nel ministero della Difesa è apparso invece molto attento al morale delle truppe. Con il suo arrivo è quintuplicato il numero anche dei cappellani “embedded” in caserma, quasi tutti ortodossi, con l’eccezione di due musulmani, ma pare che siano in arrivo anche sacerdoti buddisti. E sempre nell’ambito dell’educazione patriottica il ministro ha anche ordinato il canto obbligatorio dell’inno nazionale tutte le mattine.
Per certi versi è la riesumazione delle pratiche sovietiche (cappellani ovviamente esclusi) dove l’ex Armata Rossa fungeva anche da melting pot per i ragazzi delle decine di etnie che componevano l’impero. Oggi, dopo anni di risorse scarsissime, nonnismo, corruzione e fuga generale dalle caserme, le iniziative di Shoigu puntano a risollevare il morale delle truppe. Ma si iscrivono anche in una battaglia ideologica cominciata con il terzo ritorno di Vladimir Putin al Cremlino. Dopo aver cambiato già durante i mandati precedenti la scala dei valori rispetto ai primi anni post-comunisti, il presidente ha deciso che la questione della storia non poteva più essere lasciata all’iniziativa di singoli studiosi. Ieri i più blasonati accademici russi hanno varato la bozza del manuale di storia unico per le scuole, voluto da Putin e che già oggi sarà sulla scrivania del Cremlino. L’obiettivo era chiudere con le interpretazioni, spesso polari, di una storia tormentata e censurata per decenni, ma la produzione di un modello dal quale non derogare ha mostrato che la comunità dei ricercatori è spaccata come il resto del Paese. Per esempio, la definizione di “golpe di Ottobre” che a un certo punto sembrava ormai accettata per la rivoluzione guidata da Lenin, è stata sostituita con la “Grande rivoluzione russa del 1917”, includendo quindi anche quella borghese di Febbraio, che aveva rovesciato la monarchia dei Romanov. E si è trovato spazio anche per il politicamente corretto: il giogo mongolo-tartaro del Medioevo è stato sostituito con “giogo dell’Orda d’Oro”, per non offendere i numerosi tartari eredi di Ghenghis Khan.
Ma il nodo cruciale ovviamente era lo stalinismo. Nella Russia che non ha mai compiuto fino in fondo il percorso di abiura dei Gulag, e dove la ricerca di rinnovata grandeur di cui Putin è stato se non inventore almeno il promotore principale, Stalin da innominabile della storia è tornato a essere rappresentato con tinte spesso positive. E infatti la definizione del “socialismo stalinista” proposta da molti storici alla fine è stata sostituita da un più tecnico e ambiguo “modello sovietico di modernizzazione”, che include collettivizzazione forzata delle terre e la nascita dell’industria, la vittoria sul nazismo e le purghe, i trionfi della scienza e le carestie, enfatizzando però ovviamente i successi rispetto alle tragedie. Secondo la Nezavisimaya Gazeta che ha potuto sbirciare la bozza, manca perfino il numero delle vittime del Gulag.
Il manuale, che dovrebbe essere completato in tempo per l’anno scolastico 2014-15, arriva fino alla rielezione di Putin nel marzo del 2012, omettendo però le proteste di piazza di quei mesi. Dalla lista dei personaggi storici mancheranno anche gli oligarchi ribelli Boris Berezovsky e Mikhail Khodorkovsky, depennati dopo acceso dibattito. In un Paese dal passato imprevedibile, come dice una vecchia battuta, la storia è sempre attualità e politica, come ha dimostrato anche il dibattito dei russi con i colleghi dell’ex Urss. In quasi tutti i Paesi ex sovietici, ad eccezione di Bielorussia e Armenia, il periodo sovietico viene definito senza esitazione come “coloniale”. Una definizione che i “colonizzatori” non accettano, convinti ancora di aver fatto solo il bene dei popoli che hanno coinvolto più o meno forzatamente nella propria orbita. Del resto, il committente del manuale è noto per aver definito la fine dell’Urss “la catastrofe geopolitica maggiore del ’900”. Non si sa per ora se il manuale “definitivo” di storia patria racconterà che decine di milioni di persone l’hanno invece festeggiata come una liberazione.  

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