venerdì 19 Luglio 2024

Il dollaro in declino

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Mito e realtà

Ho l’impressione (ahimé) che i professionisti dell’allarmismo stiano cominciando a spostare la mira. Di gente che grida «stiamo per fare la fine della Grecia, della Grecia!» ormai se ne sente meno, forse anche grazie a quello che ho scritto e scrivo io in risposta, ma in sostituzione cominciano ad arrivare ammonimenti sul rischio che il dollaro perda il suo ruolo di valuta di riserva.

Le persone che dicono queste cose generalmente non hanno la più pallida idea di quale sia realmente il ruolo del dollaro, di che cos’è che possa mettere a rischio tale ruolo e di perché sia rilevante (se lo è). Qualsiasi dibattito economico prolungato finisce con qualcuno che invoca la necessità di difendere il ruolo internazionale del dollaro: in pratica è come ammettere che sul resto del dibattito hanno alzato bandiera bianca.

Allora vediamo: qual è il ruolo internazionale del biglietto verde? Il dollaro rispetto alle altre valute è, in un certo senso, quello che è la moneta rispetto agli altri beni: adempie in una certa misura alle classiche tre funzioni di mezzo di scambio, unità di conto e mezzo di tesaurizzazione. A tale proposito, dobbiamo distinguere anche tra il ruolo che svolge la moneta americana nelle decisioni private e quello che svolge nelle azioni degli organismi pubblici.

Il dollaro è prima di tutto una valuta veicolo (soprattutto sul mercato interbancario): se una banca vuole convertire bolivar in zloty, di regola cambierà prima i bolivar in dollari e poi i dollari in zloty, invece di provare a trovare qualcuno disposto a fare lo scambio diretto. Il dollaro è la valuta in cui molte transazioni internazionali (anche se non certo tutte) sono fatturate.

E in una certa misura molte persone detengono dollari o attività denominate in dollari perché il dollaro è più liquido delle altre valute. Contestualmente, i governi che vogliono sostenere le loro valute o mantenere basso il tasso di cambio lo fanno con scambi contro dollari, anche quando vogliono cercare di influenzare altri tassi di cambio. Alcuni Paesi agganciano le loro valute al dollaro, anche se oggi sono in pochi. E i governi detengono riserve denominate in dollari. In una certa misura il ruolo del dollaro riflette rendimenti crescenti che si alimentano da soli: la gente usa i dollari perché i mercati sono più “spessi” (tanti compratori e venditori) e più liquidi, e i mercati sono più spessi e più liquidi perché la gente usa i dollari. La circolarità di tutto questo comporta anche che le casualità storiche hanno un peso: la sterlina rimase la valuta dominante a livello mondiale anche dopo che la Gran Bretagna aveva cessato da tempo di essere l’economia dominante (anche se faceva una gran quantità di scambi commerciali, il che rende meno chiara la faccenda). Lo stesso fattore induce a ritenere che un periodo temporaneo di inflazione o instabilità potrebbe finire per detronizzare il dollaro in modo più o meno permanente.

Ma gli americani hanno motivo per preoccuparsi di tutto questo? Innanzitutto è arduo sostenere che qualunque valuta possa rappresentare una reale minaccia per il dollaro. Per questo c’è bisogno un libero movimento dei capitali – cosa che per il momento esclude lo yuan – e di mercati finanziari estesi. L’euro prima sembrava un’alternativa praticabile, ma i suoi mercati obbligazionari ora sono frammentati a seconda delle nazioni di emissione, rendendo molto meno plausibile questo scenario. Ma anche se il dollaro dovesse perdere in parte la sua posizione di predominio, perché gli americani dovrebbero perdere le staffe? Nulla lascia ritenere che gli Stati Uniti riescano a piazzare i loro titoli di Stato a tassi straordinariamente bassi grazie al ruolo del dollaro (e in ogni caso prendere ancora più soldi in prestito da stranieri non è necessariamente una buona cosa). Sento spesso gente che sostiene che l’America è riuscita a sopportare il suo costante disavanzo commerciale grazie al ruolo speciale del biglietto verde: non è vero, considerando che altri Paesi come la Gran Bretagna e l’Australia sono riusciti a fare altrettanto. Quello che è vero è che le grandi quantità di dollari detenuti al di fuori degli Stati Uniti (soprattutto in biglietti da 100 e per ragioni ovvie) rappresentano di fatto un prestito a interesse zero per gli Usa dell’ordine di circa 500 miliardi di dollari. Che non è male, ma che anche in tempi normali vale soltanto circa 20 miliardi di dollari l’anno, più o meno lo 0,15% del prodotto interno lordo. E in ogni caso da questo punto di vista anche l’euro se la cava niente male. I signori della droga latinoamericani detengono dollari, i biznesmen russi detengono euro, ma in entrambi i casi tutto questo rappresenta un sussidio trascurabile per economie ricche e di enormi dimensioni. Il succo è che se dici «il ruolo internazionale del dollaro» sembri tanto sofisticato e importante, ma più ne sai dell’argomento e meno te preoccupi. Semplicemente, non è una questione così rilevante.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

 

 

 

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