sabato 20 Luglio 2024

Ma il mormorio vi siete fermati ad ascoltarlo?

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Il significato della Grande Guerra che le opposte retoriche non sono in grado di cogliere

Il 24 maggio di centosei anni fa l’Italia entrava fisicamente nella Prima Guerra Mondiale.
Da quando sono nato i sentimenti generali su quella scelta sono stati ondivaghi. Retoricamente esaltati all’epoca della mia giovinezza, poi critici e negativi per un buon ventennio, successivamente mutati in un distaccato orgoglio nazionale che ultimamente ha acquisito una nuova retorica sovranista. Della serie: anche la storia non trova mai pace.
Evitiamo di fare i tifosi e cerchiamo d’inquadrare storicamente il tutto per capire in che misura esso può ancora fornirci degli orientamenti.

Non tutti gli interventismi erano uguali
Le motivazioni degli interventisti furono molto diverse tra loro. Ci fu chi intendeva continuare il Risorgimento e, con il mito della riconquista territoriale, imprimere un sentimento unitario e progressista – repubblicano e sociale – ad un popolo che, come aveva ben osservato Cavour, ancora non esisteva. Ci fu chi aspirava a che l’Italia con una vittoria mondiale potesse assurgere a livello di potenza e abbandonare quello del protettorato di fatto, visto che già allora oscillavamo al servizio di più padroni (Inghilterra, Germania e Francia). Ci fu anche – e parlo delle classi dirigenti – chi fu disposto a sacrificare centinaia di migliaia di sudditi per ottenere un’integrazione nello sviluppo dell’economia occidentale (ossia mandiamo a morte i pezzenti e noi ci riempiremo il borsellino).
C’erano poi i democratici che sognavano l’evoluzione dell’umanità e volevano distruggere i reazionari Imperi Centrali fingendo di non vedere (è una tipica virtù democratica) di essersi alleati con la più retriva delle autocrazie: la Russia zarista.

La guerra rivoluzionaria
In questa confusione d’intenti si partecipò alla guerra, immediatamente intesa qui da Mussolini, come in Russia da Lenin, quale massimo potenziale rivoluzionario.
Lenin scelse il disfattismo contando sul fatto che la macelleria inutile a cui venivano sottoposti i soldati, accompagnata ad un ferrea disciplina criminale e classista, avrebbe scatenato la rivolta.
Mussolini la vide nel modo opposto e comprese che sarebbe nato un socialismo di trincea, che si sarebbe sviluppato un collante nazionale e che la nazione – lungi dall’essere un fine in se stesso – avrebbe fornito il vero elemento rivoluzionario che la classe non era in grado di rappresentare.
Così la divaricazione tra i rivoluzionari si manifestò nel pacifismo e nell’interventismo rivoluzionario (all’epoca definito di sinistra e molto diverso da quello di destra, protosovranista).
Furono gli Arditi e la reazione a Caporetto a dar vita ai prodromi di quella Rivoluzione che fu poi guidata da Benito Mussolini.

La carneficina
La sinistra disfattista ha denigrato a lungo la Grande Guerra, parlando di macelleria inutile e mettendo l’accento sulle decimazioni vigliacche. Il problema di quella sinistra è che essa non vi ha reagito in alto, come gli Arditi, bensì in basso come i disertori.
Che ci sia stata una macelleria inutile, determinata dall’incompetenza e dal cinismo criminale di molti generali e alti ufficiali e che siano stati decimati innumerevoli innocenti solo per imporre il terrore è vero. Me lo hanno raccontato diversi volontari del Carso e del Piave, gente che era partita falsificando i documenti per sembrare già in età di combattere. Uno di essi, poi fascista per tutta la vita, mi confessò che non poteva più vedere le divise dei Carabinieri senza fremere di rabbia per la rimembranza di quegli eccidi.
Possiamo esaltare quel conflitto perché Polemos è il padre di tutte le cose e lo fu della nostra identità nazionale e di un nuovo spirito rivoluzionario, ma per questo, non in sé e non senza provare disgusto per come allora si lasciavano macellare, o si macellavano a capriccio, i soldati.

La nascita della primavera
Fu la reazione verso l’alto a quella tempesta d’acciaio di jungeriana memoria che realizzò il fenomeno eticamente ed esistenzialmente rivoluzionario da cui sorsero le primavere europee che solo un’altra guerra mondiale avrebbe precipitato in un inverno polare.
Ciò fu il frutto del sangue italiano, ma anche del sangue di chi combatteva contro gli italiani.
Il contagio del disfattismo e quello dell’eroismo contrassegnarono quell’epoca, in tutti gli eserciti e in tutte le nazioni. Fu così che il nazionalismo assunse al tempo stesso una valenza sociale, rivoluzionaria e la giusta dimensione universale che è esistenziale, etica, metafisica, e sostanzialmente imperiale.

Memento semper
È questo che dovremmo celebrare ed è a questo che dovremmo ispirarci, lanciando alle ortiche le tentazioni “sovraniste” di Asterix che esaltano i reticolati di confine e la specificità di un villaggio chiuso in se stesso, senza neppure cinghiali e pozione magica.
Il nazionalismo di Mussolini, non quello dei Salvini di turno.
Bisogna saper essere nel particolare e nell’universale sempre e non dimenticarsi mai che anche quando si vince a Vittorio Veneto c’è comunque un’alleanza superiore con Rommel e con Jünger e una lotta superiore con Turati e con Badoglio.
Non è tanto questione di confini ma di cuori. Sparta non aveva mura perché le bastavano i petti dei suoi guerrieri.

 

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