giovedì 18 Luglio 2024

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Fedele De Novellis, economista, è partner di Ref ricerche e direttore di Congiuntura Ref.
Direttore Fedele De Novellis, il clima di fiducia delle imprese accelera e ha addirittura raggiunto il livello più alto dal febbraio del 2018. Più fiducia significa meno licenziamenti?
La fiducia è un elemento importante all’interno di un contesto più generale che si sta facendo meno incerto. Se la campagna di vaccinazione proseguirà con questo ritmo e se non ci saranno problemi con le varianti del Covid, la ripresa andrà come previsto, con un Pil sopra al 4% quest’anno. In questo caso le perdite aggiuntive di posti di lavoro potrebbero essere più contenute rispetto al milione già andato in fumo. Potremmo essere nell’ordine delle 300-400mila ulteriori uscite nette, con un totale che resta comunque molto pesante.

Entriamo dentro questi numeri. Qual è il trend atteso per i licenziamenti?
Per i lavoratori dei settori che fino ad ora sono stati protetti dal blocco dei licenziamenti e dalla cassa integrazione si annuncia una fase di perdite. Inizieremo a perdere posti di persone con contratto a tempo indeterminato. Allo stesso tempo una parte di quelli che erano usciti dal mondo del lavoro, come gli stagionali del turismo, rientreranno in concomitanza con le riaperture e quindi è possibile un rimbalzo per la fascia più giovane del mercato del lavoro. Ma il fenomeno è molto variegato.

In che senso?
Dobbiamo prendere in considerazione due elementi. Il primo è un’elevata instabilità nel breve periodo, cioè il tono dell’economia sta cambiando nel giro di poche settimane mentre normalmente il ciclo economico evolve gradualmente. Prendiamo ad esempio i ristoranti: sono passati dalla chiusura serale all’apertura e quindi alla possibilità di aumentare sensibilmente i propri introiti. Un cameriere che fino a poche settimane fa era disoccupato si ritrova a lavorare. In questo senso gli indici di fiducia di aprile e maggio registrano un cambiamento netto perché la riapertura si vede nei settori interessati. Ma dobbiamo considerare – e questo è il secondo elemento – anche la differenza settoriale.

Cioè?
Alcuni settori sono rimasti chiusi per molto tempo, altri al contrario hanno avuto addirittura un effetto positivo dalla pandemia. I primi hanno subito dei crolli di produzione, i secondi hanno guadagnato. E poi ci sono le differenziazioni dentro a uno stesso settore, come il commercio: alcuni negozi hanno abbassato le serrande per molte settimane, mentre le vendite online sono aumentate. Le commesse dei negozi del centro di Milano rischiano il posto molto di più dei lavoratori che trasportano i prodotti dell’e-commerce sui furgoncini”.

Insomma, definire un trend unico è impossibile.
La combinazione di questi due elementi – instabilità e variazione settoriale – ci dice proprio questo e cioè che non si può fare una diagnosi unica del mercato del lavoro, ma solo settore per settore. Se tolgo il blocco dei licenziamenti a un settore che era in espansione l’impatto è minore o quasi nullo, se il settore è ancora in crisi faccio una strage di posti di lavoro. Ma le cose possono cambiare velocemente: la situazione è molto fluida, alcuni settori possono passare dalla prima alla seconda condizione o viceversa. In generale non tutti i settori si riporteranno al 100% dei livelli produttivi pre-crisi e per questo ci sarà un numero comunque importante di licenziamenti.

Restiamo all’oggi. Chi rischia di più?
Il tessile-abbigliamento e le calzature che hanno subito uno shock fortissimo sul fronte dei consumi. La filiera è in una condizione disastrosa. Togliendo i sistemi di protezione alcuni pezzi del Centro Italia chiuderanno perché è un’industria che è concentrata nelle Marche e in Toscana. Poi ci sono le attività di servizi legate agli uffici: lo smart working è ancora una forma di lavoro diffusa e alcuni settori, come la ristorazione legata alla pausa pranzo, fanno fatica. Così come non normalizzeremo presto la fieristica e la convegnistica per i quali la caduta di prodotto può rivelarsi di tipo permanente. C’è ancora una forte concentrazione della crisi nei servizi ricreativi come gli spettacoli, il cinema e il teatro. Altri settori hanno trend disomogenei al loro interno.

Ci faccia un esempio.
L’industria alimentare. Alcuni pezzi, come quelli che servono la grande distribuzione, sono andati e vanno benissimo. Altri, come quelli che servono la ristorazione con prodotti di nicchia, sono legati alla velocità di ripresa dei ristoranti stessi.

Altri settori, diceva prima, sono invece attesi in crescita. Prendiamo il turismo: che trend dobbiamo aspettarci?
Il turismo estivo trainerà la ripresa perché anche quest’estate, come la scorsa, potremmo andare al mare. Ma non avremo flussi turistici imponenti nelle grandi città: la crisi si attenua, ma non si risolve del tutto. Così come bisogna ricordare che sul fronte dell’occupazione è atteso un recupero dei contratti a termine, soprattutto quest’estate per gli stagionali legati al turismo: rientra chi era uscito, ma sempre con un contratto precario.

Al di là delle differenze tra i settori, qual è il clima sui licenziamenti? Le imprese sono predisposte a licenziare di meno rispetto a quanto messo in conto nei mesi scorsi?
L’incertezza si è ridotta, ma la propensione ai licenziamenti è legata ai vaccini e al rimbalzo del Pil.

Cioè?
Non bisognerà arrivare al 50% della popolazione vaccinata e poi rallentare, ma molto dipenderà anche da come normalizzeremo i nostri comportamenti di consumo. Ora si può andare al pub, si può spendere, ma molto dipenderà dalla nostra volontà individuale, che a sua volta dipende dalle aspettative legate alla possibilità di mantenere il mio posto di lavoro: se percepisco che potrò essere licenziato a settembre, allora non vado al pub, risparmio il più possibile e così si attiva un cortocircuito.

Come si fa a mantenere questo clima di ritrovata fiducia, considerando che quella dei consumatori, come ci dice l’Istat, è ritornata ai livelli pre Covid?
Bisognerà garantire ai lavoratori degli elementi di protezione, come la cassa integrazione, ancora per qualche altro mese. Solo così si sentiranno sicuri e potranno abbattere quel tasso di risparmio che con il lockdown è cresciuto in maniera esponenziale. In questo modo potremmo virare verso consumi più elevati, coerenti con il rafforzamento del clima di fiducia.

Possiamo guardare alle prossime settimane con più ottimismo?
Le previsioni di crescita sono sempre le stesse, però si è ridotto il rischio. Non va meglio, ma è aumentata la probabilità che non andrà peggio. Lo scenario della ripresa si sta materializzando, un Pil sopra al 4% quest’anno e il prossimo è probabile. Insomma ci sono le condizioni che spingono a un seppur cauto ottimismo.

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