giovedì 18 Luglio 2024

LE BANALITA’ DI HANNAH ARENDT

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Tra le formule elaborate dalla teologia occidentalista, quella dell'”Asse del Male” è solo la più recente, visto che già un guitto prestato alla politica coniò a suo tempo il sintagma “Impero del Male” per demonizzare l’Unione Sovietica.

In origine, però, vi fu il “Male elementale”, concetto partorito da un esponente della demonologia rabbinica, Emmanuel Levinas, per “spiegare” il nazionalsocialismo.


Nella interpretazione teologica elaborata dai chierici giudei e cristiani circa il cosiddetto “Olocausto”, Hannah Arendt ha introdotto, com’è noto, un elemento di cui nessuno naturalmente osa negare la genialità: il tema della “banalità del male”. Secondo la filosofessa ebrea, infatti, il Male epifanizzatosi in Otto Adolf Eichmann fu “banale”, in quanto i suoi esecutori erano semplici tecnici e grigi burocrati.


È alquanto significativo che i risultati della riflessione di Hannah Arendt abbiano trovato la loro prima tribuna in un giornale statunitense. Fu “The New Yorker” (“New”, non “Jew”), nel 1961, a inviare la Arendt come corrispondente a Gerusalemme, affinché potesse seguire da vicino le udienze della messinscena processuale allestita contro Eichmann.


Se qualcuno volesse rispondere in modo esauriente alle argomentazioni della Banalità del male di Hannah Arendt, che nell’edizione italiana (Feltrinelli 2001) si estendono per trecento pagine, un libro della stessa mole non basterebbe. Ci limiteremo perciò ad indicare schematicamente, replicando nella maniera più sintetica possibile, solo alcuni punti della Banalità del male: quelli in cui il testo della Arendt si rivela per quello che è, ossia un resoconto giornalistico adeguato al livello intellettuale del pubblico americano.


Fin dalle prime pagine, infatti, vengono acriticamente riportate affermazioni di Ben Gurion del seguente tenore: “milioni di persone, solo perché erano ebree, e milioni di bambini, solo perché erano ebrei, sono stati assassinati dai nazisti (…) la camera a gas e la fabbrica di sapone sono le cose a cui può condurre l’antisemitismo” (pp. 18-19). Indubbiamente il richiamo ai “milioni di bambini” trasformati in saponette non avrà mancato di produrre un certo effetto sul lettore statunitense. Chissà perché non sono stati evocati i paralumi fabbricati con la pelle degli ebrei… Forse per una dimenticanza (banale, per l’appunto) dell’illustre filosofessa-giornalista.


La quale, per quanto concerne

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