giovedì 18 Luglio 2024

Dottrina cinese

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A Tokyo Obama augura la crescita ulteriore della Cina e dei suoi consumi.

TOKYO – “L’ascesa della Cina non ci spaventa, non è una minaccia per l’America. Lo sviluppo delle nazioni non è un gioco a somma zero in cui l’una vince se l’altra perde”. Barack Obama sceglie Tokyo per un solenne discorso programmatico, in cui espone per la prima volta la sua “dottrina cinese”. Un tema scottante e delicato su cui i suoi predecessori alla Casa Bianca sono spesso apparsi titubanti, incerti tra la rivalità strategica e il compromesso tattico basato sugli interessi del momento.

Obama sa che il XXI secolo sarà segnato dalla sfida tra le due superpotenze ma esclude ogni analogia con il confronto Usa-Urss durante la guerra fredda. “Noi non cercheremo di contenere la Cina”, dice, con un evidente riferimento alla dottrina del “contenimento” della minaccia sovietica che fu in auge a Washington nei decenni della tensione con Mosca.

Nel suo primo viaggio in Asia, dove a più riprese si autodefinisce “il presidente americano che viene dall’Asia-Pacifico” (perché nato alle Hawaii e cresciuto in Indonesia), Obama riconosce alla Repubblica Popolare un merito immediato e concreto: “La Cina ha mostrato di svolgere un ruolo chiave nel far ripartire la crescita economica globale”. Mai in precedenza era venuto dall’America un omaggio così esplicito al ruolo di “locomotiva” esercitato da Pechino negli ultimi mesi, mentre il resto del mondo era in recessione.

Davanti a un pubblico giapponese particolarmente sensibile a questo tema, questo sabato mattina Obama aggiunge nel passaggio sulla Cina un accenno ai diritti umani: “Noi non rinunceremo mai a parlare in favore dei nostri valori, la difesa dei diritti individuali e della libertà religiosa. Ma lo faremo in uno spirito di cooperazione”. E’ un approccio soft, a poche ore dall’incontro con il presidente cinese Hu Jintao (stasera al vertice Apec di Singapore, tre giorni dopo a Pechino). Obama non cita esplicitamente il Tibet o lo Xinjiang, né casi specifici di abusi del governo cinese contro i diritti umani.

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Fa nomi e cognomi, invece, nel caso della Birmania. “Abbiamo deciso di comunicare direttamente”, annuncia, confermando che al vertice dell’Apec a Singapore incontrerà il premier di Myanmar. Si interrompe così un lungo gelo diplomatico fra i due paesi. Visto che la politica dell’embargo e delle sanzioni non ha portato ad alcun miglioramento, Obama tenta anche in questo caso la strada del dialogo. Con fermezza, però: “Al premier birmano dirò questo: se volete la fine delle sanzioni dovete migliorare la situazione dei diritti umani e liberare i prigionieri politici, a cominciare dalla signora Aung San Suu Kyi”.

Questo sabato mattina, ultima giornata della visita a Tokyo, per Obama è stato finalmente l’occasione di un bagno di folla, in un paese dove la sua popolarità è ancora alle stelle. La cornice del suo discorso è il teatro sinfonico Suntory Hall. Sul palco, un sipario azzurro con una lunga fila di bandiere americane e giapponesi. Un’orchestra intrattiene il pubblico con “Eine Kleine Nachtmusik” di Mozart, prima dell’arrivo della superstar globale.

L’emozione è grande quando Obama prende la parola, e lui non delude. “Premia” i giapponesi con una serie di ricordi personali, che risalgono all’infanzia trascorsa a Giacarta, in Indonesia. “Da bambino – racconta – mia madre mi portò qui in Giappone, in visita a Kamakura. Vidi quel simbolo di pace che è la grande statua dell’Amida Budda, ma per la verità ero più attratto dal vostro gelato matcha”. Risate e applausi. Seguono altre ovazioni quando parla di “valori comuni fra le nostre due democrazie” e di “rifondare l’alleanza su una base di parità e mutuo rispetto”.

In giornata Obama vola a Singapore per il summit tra gli Stati membri dell’Apec, l’associazione Asia-Pacifico. “Il benessere dell’America dipende in gran parte da quel che accade in quest’area del mondo”. A Singapore Obama porterà un’altra dottrina, quella sullo sviluppo “equilibrato” che espose già al G-20 di Pittsburgh. In sostanza: perché gli americani smettano di vivere al di sopra dei loro mezzi e comincino a ridurre i loro debiti, sostiene Obama, occorre che i giganti asiatici consumino e importino di più. Un suo consigliere economico cita questo dato: se l’Asia importa l’1% in più di prodotti “made in Usa”, si creano in America 250.000 posti di lavoro.

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