venerdì 19 Luglio 2024

Il revisionismo storico non c’interessa

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Intervista a FascinAzione sul caso Moffa e la lex pacifica

Ugo Maria Tassinari:
“Mentre continua la campagna a favore della legge antinegazionismo invocata dal leader della comunità ebraica romana Pacifici, Gabriele Adinolfi ha pubblicato su noreporter un intervento spiazzante sul tema. Ne abbiamo discusso e da questo confronto è nata la seguente intervista”.

A partire dalla “gaffe” antisemita di Ciarrapico e dallo scoop della lezione “negazionista” di Moffa, la Repubblica ha innescato una massiccia campagna che ha messo capo alla proposta orwelliana di una legge che irrigimenti il sapere storico. A sua volta, però Pirani, che pure ha dedicato due numeri consecutivi della sua rubrica al reclutamento berlusconiano della fascisteria (da Puschiavo a Jonghi Lavarini) ha una posizione dialettica sulla legge. Quanto c’è di logica politica locale, di chiamata alle armi del partito-Repubblica contro il centrodestra?

Forse questa chiave di lettura c’entra, ma solo in parte. Moffa, come ebbi modo di preannunciare a suo tempo, è il classico esaltato di turno, un po’ narcisista, di certo esibizionista, che serve a far passare un progetto. La legge contro il revisionismo storico (rifiutata da Inghilterra, Usa e Danimarca) che in Italia non c’è ancora e che alcune oligarchie vorrebbero.

Perché? Quali? Il solito discorso estremistico che vuole le grandi centrali della globalizzazione decise a stroncare le resistenze al multiculturalismo e all’omologazione che si esprimono nei rigurgiti xenofobi?

In realtà è una legge che ha due caratteristiche principali. Da un lato è volta a ipnotizzare le comunità ebraiche e a tenerle coese per forza sulla politica israeliana, mantenendole sotto il ricatto psicologico di un ventilatissimo antisemitismo aggressivo, con un meccanismo oligarchico fatto ben  notare da Finkelkraut. Da un altro essa serve a dotare le democrazie “progressiste” di un dispositivo liberticida che conceda alle oligarchie d’intervenire a piacimento contro qualsiasi “eresia”. Ed oggi che le democrazie fanno acqua da tutte le parti le “eresie” sono parecchie e sono in crescita e il timore di esse, da parte di chi vuol mantenere posti e privilegi, nonché sistemi di controllo e spartizione, è tanto.

Io vedo però che il negazionismo italiano non ha tratti antisemiti ma risponde a istanze geopolitiche

L’ultimo revisionismo (di negazionismo vero e proprio solitamente non si tratta) è legato alla questione israeliana. Ma tutto il filone nasce fuori da correnti antisemite.
Il battistrada è Paul Rassinier, socialista francese, ex comunista, medaglia d’argento alla Resistenza, detenuto nei lager di Buchenwald e Dora. Con il suo “La menzogna di Ulisse” aprì la discussione. La sua investigazione fu poi ripresa in Francia da ambienti di sinistra libertaria, con componenti ebraiche e antisioniste. Fu quindi la volta di Robert Faurisson che, va ricordato, era uno storico liberale, centrista, non di certo antisemita.
Fu a quel punto che, a mio avviso per le ragioni che ho esposto sopra, alcune centrali ritennero opportuno inquinare il discorso affidandolo a provocatori o a esaltati che si definivano “neonazisti”, alcuni dei quali erano a libro paga dei servizi, che diedero vita alla rivista Révision e permisero quindi di affermare il sillogismo che ha portato alla legge contro le investigazioni storiche.
Questo sillogismo è: chi mette in discussione non l’Olocausto ma la sua unicità è perché, in fondo, vorrebbe banalizzarlo e ripeterlo. Ergo bisogna impedirlo.
Immaginificamente la manovra è riuscita ma è oggettivamente falsa.

Tu ritieni l’intera questione negativa. Perché Per paura d’infiltrazioni, di provocazioni?

Chiariamoci.
Io credo che la storia la debbano fare gli storici e non i politici. Credo pure che non si possa mettere il bavaglio agli storici i quali sono chiamati ad argomentare e non vi è ragione plausibile o accettabile per impedirglielo.
Io però non faccio lo storico, sono politicamente impegnato.
I motivi per cui ritengo controproducente occuparsi di revisionismo sull’Olocausto sono almeno tre.
Il primo è che si deve evitare di essere provocatori oggettivi; i non-storici che si occupano di revisionismo, che se ne avvedano o no, sono manovrati.
Il secondo è che non credo nella democrazia. La verità storica la decide chi vince. Se la storiografia esprime verità diverse dalla storia vulgata, questa sempre resta in piedi se non è sostenuta da una quota di potere. Il caso di Nerone è emblematico. Dunque politicamente la contro-storia non ha  efficacia alcuna.
Il terzo motivo è che in quest’anelito revisionista ravvedo anche una fragilità psichica; si ha paura di  guardare il sole diritto se non si hanno gli occhi e il cuore dell’aquila.
Bisogna che il proprio modello sia sempre “buono”. Mentre non esistono modelli “buoni”, la miscela del buono e del cattivo c’è sempre e ovunque e ad animare un certo revisionismo io sospetto ci sia più un balbettio interiore che un vero coraggio al di là del bene e del male.

Una critica quindi di ogni logica di detenzione in regime di  monopolio del bene e del male?

Di certo negli anni Venti-Quaranta i milioni di persone sterminate furono venticinque o trenta.
Gli Ucraini, per esempio, furono sette milioni e mezzo. E i culachi?
E che dobbiamo dire dei pellerossa sterminati letteralmente dalla democrazia americana? O del genocidio in Vandea? O dei massacri dei pagani compiuti dai cristiani? O dei cattolici massacrati dai protestanti e viceversa? O dei borghesi annientati da Pol Pot? O dei tutsi? Dei serbi e dei croati? Degli stessi tedeschi sterminati e maciullati in massa dall’invasore sovietico o morti come mosche nei campi di concentramento alleati? Degli italiani massacrati nelle foibe?
Pretendere l’unicità è assurdo, anche se ciò si comprende nella logica che ho segnalato.
Quel che si comprende meno è quest’accanimento difensivistico sui numeri. Sarà che oggi siamo nel regno della quantità, ma il valore delle cose  muta secondo la contabilità?
Il “revisionismo”  non sostiene che non ci sia stato sterminio. I suoi argomenti principali sono tre. Che non ci fu alcun disegno programmato da parte tedesca. Che gli israeliti non furono uccisi nelle camere a gas. Che i morti ebrei (compresi quelli finiti sotto i bombardamenti o uccisi dai sovietici) furono, come aveva registrato la Croce Rossa, circa un milione e mezzo.
I revisionisti apportano anche altri elementi a sostegno delle loro tesi. Come, ad esempio, che nel maggio del 1945 c’erano 270.000 ebrei cittadini tedeschi e che a Berlino funzionava ancora l’ospedale ebraico.
Sono tutti dettagli interessanti per l’investigazione storica. Ma, ripeto, solo per quella. E chi s’illudesse che questa sia la chiave giusta per annullare gli ultimi residui di demonizzazione del fascismo, oppure per aiutare la Palestina, si sbaglia di grosso. E’ ipnotizzato dagli schemi mentali della democrazia.

Pubblicato su http://fascinazione.blogspot.com/2010/10/adinolfi-il-revisionismo-storico-non-ci.html#more

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