venerdì 19 Luglio 2024

Ed ecco alzare le ciaramelle

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Ritorno di fiamma per la zampogna, che ci riporta a Nerone

La memoria dell’infanzia si risveglia in questo periodo dell’anno con un’acuta nostalgia. E per coloro che erano bambini negli anni Cinquanta e Sessanta o ancora prima, tra i ricordi riaffiora puntuale quello degli zampognari. Il suono delle zampogne e delle ciaramelle  alle quali era affidata la parte solistica del breve concerto dei pastori  rappresentava la colonna sonora dei nostri Natali.
Provenienti dalla Ciociaria, dall’Abruzzo e dal Molise, gli zampognari inondavano di musica le strade di tutta la città, dei quartieri borghesi come di quelli popolari. Per noi bambini metropolitani il loro arrivo non rappresentava soltanto l’annuncio delle feste natalizie, ma anche il concretizzarsi dinanzi ai nostri occhi di un mondo pastorale e arcaico del quale avevamo sentito parlare dai nonni, dai genitori, del quale avevamo letto sui libri di testo. Diventavano reali le figure e le melodie evocate da Pascoli in quei versi che la maestra ci aveva chiesto di imparare a memoria: “ed ecco alzare le ciaramelle/il loro dolce suono di chiesa, suono di chiostro,/suono di casa, suono di culla,/suono di mamma, suono del nostro/dolce e passato pianger di nulla”.
Con il definitivo tramonto del mondo pastorale, le strade della città sono diventate orfane di quei suoni natalizi. Mentre a Roma i caldarrostai sono ormai una presenza costante, li si incontra anche a ferragosto a vendere castagne a prezzo d’oro, gli zampognari sono scomparsi da molti anni. Sollecitati dalla nostalgia siamo andati sulle loro tracce, in Molise.
Prima tappa del viaggio a Isernia, dall’editore Cosmo Iannone che ha pubbli cato La zampogna, due ponderosi volumi (530 pagine ricche di illustrazioni) considerati una bibbia sul tema degli aerofoni a saccoâ in Italia; Iannone ci presenta Mauro Gioielli, il curatore dell’opera, un antropologo culturale che la passione per l’oggetto dei suoi studi ha spinto a fondare un gruppo di musica etnica, “Il tratturo”. Con Gioielli il discorso parte da lontano, dalle origini dello strumento, che si perdono in un tempo remoto. E’ tuttavia certo che l’utriculus (piccole otre) si suonasse nell’antica Roma.
“L’imperatore Nerone era uno zampognaro”, afferma lo studioso. E aggiunge: “Vari storici, tra i quali Svetonio e Marziale, ci raccontano che amasse l’utriculus. Dalla nostrana zampogna, rivendica con orgoglio Gioielli, discendono tutti i circa quaranta tipi di cornamusa diffusi nel mondo, in Europa e altrove.
Da Isernia ci spostiamo a Scapoli, un paese di 600 abitanti ai piedi delle Mainarde che oggi  è considerato la capitale della zampogna. Qui a metà degli anni Settanta è nata una mostra-mercato, diventata quindici anni dopo un festival internazionale che attira da tutto il mondo esperti e appassionati di zampogne e cornamuse, qui esiste un piccolo museo e vi si svolge un’intensa attività didattica per avvicinare i giovani allo strumento che suonavano molti dei loro nonni.
Principale animatrice di queste attività è Antonietta Caccia, fondatrice dell’Associazione culturale Circolo della zampogna. “Fino agli anni Sessanta” dice la signora Caccia “quello delle novene di Natale era un rituale religioso molto sentito, a Roma e a Napoli, e dava modo ai nostri pastori di integrare sostanziosamente i loro magri guadagni. Zampognari e ciaramellai scendevano in città in due riprese, nove giorni prima dell’Immacolata e nove giorni prima del Natale, suonando appunto per nove giorni. A Roma svolgevano un’attività itinerante, e nel centro della città erano soliti sostare dinanzi alle madonnelle agli angoli delle strade. A Napoli invece suonavano presso le famiglie che avevano prenotato la novena: in precedenza, spesso l’anno prima, avevano concordato il prezzo dei concerti consegnando al committente la cucchiarella, un mestolo di legno che rappresentava l’impegno contrattuale. Cominciavano alle quattro del mattino e andavano avanti fino a mezzanotte, riuscendo a soddisfare anche quattrocento famiglie al giorno”.
Antonietta Caccia conferma quanto ci ha detto Mauro Gioielli. Ovvero che la zampogna sta vivendo una fase di rilancio, suonata non più da pastori ma da appassionati. Si tratta di studenti, studiosi, musicisti professionisti ma anche di gente di ogni età (uomini e donne) che si è innamorata di questo strumento. Suonano in occasione di mercatini natalizi, presepi viventi o spettacoli di musica etnica in Italia e all’estero.
Questo fenomeno ha consentito di sopravvivere, o di riaprire, alle botteghe artigiane che fabbricano zampogne e ciaramelle. In tutta Italia sono una ventina, quattro delle quali a Scapoli. Ne visitiamo una, quella di Luigi Ricci, e ci sembra di compiere un salto indietro nel tempo. Nel piccolo locale l’unica concessione alla modernità è un tornio elettrico, che ha sostituito quello a pedale. Gli altri strumenti sono quelli di una volta, come le sgorbie con le quali si scavano i fusi di legno. I materiali migliori sono quelli di sempre: pelli di capretto o di agnello per l’otre, legno di ulivo, prugno o ciliegio per le canne sonore. Ricci, un uomo dal volto mite come quello di mastro Geppetto, mostra uno strumento quasi ultimato. Ci viene da pensare che quell’otre di pelle d’agnello presto tornerà a vivere. Forse influenzati dalle parole di Gioielli: “Il suono della zampogna richiama il belato della pecora. Per i pastori era un modo di far rivivere questo animale al quale dovevano tutto”.

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