venerdì 19 Luglio 2024

Carbonia splende ancora

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La città fondata dal Duce, a seguito della politica energetica autarchica, è un gioiello architettonico, oggi messo a nuovo.

Benito Mussolini aveva deciso che Carbonia nascesse senza risparmio di uomini e mezzi. Per il Duce, il carbone del Sulcis era importante almeno quanto lo è per il petrolio dell’Irak per Geroge W. Bush. A Carbonia, però, l’ego del fascismo non dovette fare i conti soltanto con le bonifiche e i problemi urbanistici, come a Sabaudia, Latina o le altre due città sarde di fondazione, Fertilia e Arborea.


Carbonia fu la prova del fuoco della cultura dell’organizzazione, la sfida sul campo alla potenza organizzativa dei tedeschi e dei nemici della “perfide Albione”. Nel ’36 i tecnici individuarono in questa zona dell’Iglesiente un bacino carbonifero di alcune centinaia di milioni di tonnellate. Due anni dopo Mussolini in persona inaugurò quello che 24 mesi prima era un progetto visionario degli architetti razionalisti: costruire insieme città e miniera. Nel 1940 i quasi 16 mila minatori trasferiti alla miniera di Serbariu, questo è il suo nome, da Toscana, Sicilia, Veneto e Lombardia batterono il record dei record: 1,3 milioni di tonnellate di carbone grezzo estratto in un anno.


Prima della retorica fascista, che a Carbonia, però, ha lasciato dei piccoli capolavori di architettura: la lampisteria di 2.500 metri quadri progettata da un allievo di Pier Luigi Nervi (l’enorme sala dove i 15 mila minatori ritiravano la lampada prima di scendere nei pozzi) e la città giardino disegnata dall’urbanista ebreo Gustavo Pulitzer. Per non parlare della piazza principale, con il municipio, la chiesa, il cinemateatro e un giardino pubblico, ogni funzione su uno dei quattro lati.


La miniera di Serbariu cessa la produzione, per volere della Ceca, nel 1964. la fine della miniera è la fine di Carbonia. Se ne vanno 20 mila abitanti dei 30 mila “dell’era fascista”. Un declino, anche qui, che col tempo spazza via tutte le testimonianze di un’epoca. La zona mineraria viene smantellata pezzo dopo pezzo: la ventina delle costruzioni in ferro che sormontavano l’ingresso dei pozzi vendute a un rottamaio, la lampisteria diventa ricovero di extracomunitari in cerca di un tetto, il cinema-teatro chiuso in attesa di lavori che non si faranno mai, il municipio trasferito in una costruzione di cemento armato di fronte a quella rigorosa dei razionalisti che l’avevano caratterizzata di una forma cilindrica (il potere temporale che rivaleggia con il campanile, simbolo di quello spirituale).


Una morte cui nessuno sembra fare caso, fino a quando, nel 2002, il deputato sassarese dei Ds, Tore Cerchi, dopo tre legislature a Montecitorio decide di tornare alla sua isola e candidarsi come sindaco di Carbonia […] viene eletto a furor di popolo sulla base di un programma che per un ex comunista non è proprio rituale: far rivivere la Carbonia voluta da Benito Mussolini e dai suoi architetti. […] Oggi, chiunque passasse per Carbonia, vedrebbe qualcosa di molto simile a quello che vide il Duce sessantasei anni orsono. Il cinema-teatro è risorto com’era e dov’era, il consiglio comunale è tornato nel suo luogo originario, con tanto di tende rosse in velluto e scranni che replicano il design del Ventennio. La lampisteria è rinata: lì passerano i turisti a ritirare la lampada e, una decina di metri più in là, scenderanno con l’ascensore dei minatori nelle viscere di Serbariu (per inciso, la miniera è ancora str

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