sabato 20 Luglio 2024

Cryptoasset nel dark web

Più letti

Global clowns

Note dalla Provenza

Colored


Nuove vie di traffico criminale

La notizia è di qualche giorno fa. La Germania ha spento i server del dark web Hydra, uno dei mercati più importanti al mondo per trafficare in droghe, armi, carte di credito rubate, banconote contraffatte, documenti falsi e altri servizi illegali. E poi, e qui arriviamo al dunque, durante la stessa operazione l’Ufficio federale della Polizia criminale teutonica (BKA) ha sequestrato ben 23 milioni di euro in Bitcoin. Solo una piccola parte di quelli utilizzati ogni anno nell’Internet profondo, quello dove la maggioranza degli utenti del web non ha accesso. Grazie alla criptovaluta più famosa al mondo era possibile acquistare droghe o armi nascoste in luoghi di ritiro le cui coordinate rimanevano segrete fino al momento dell’invio del denaro crittografato. Non stiamo parlando di quattro criminali informatici. Si tratta di un mercato florido, da circa 17 milioni di utenti e 19 mila venditori. 1,23 miliardi di euro di “fatturato” solo nel 2020, secondo The Verge.

Chiariamo subito una cosa: in realtà non andrebbero definite criptovalute. Lo sottolinea ad Huffington Post il professor Ranieri Razzante, docente di legislazione antiriciclaggio all’Università di Bologna e presso numerose istituzioni statali come l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna (AISI), cioè i servizi segreti che operano all’interno dei confini italiani. “Non sono propriamente valute. Vanno chiamati cryptoasset”. La Banca Centrale Europea li definisce “attività digitali rese possibili dall’uso della crittografia tramite DLT/blockchain”. Dieci anni fa nessuno avrebbe avuto dubbi: stiamo parlando dei Bitcoin. Oggi, di cryptoasset, ne esistono a migliaia, tra criptovalute e non fungible tokens (NFT), solo per fare due esempi. Della cripto ideata da Satoshi Nakamoto nell’ormai lontano 2009 sembra che in circolazione ce ne siano circa 19 milioni di token.

A prima vista, una capitalizzazione importante. Ma in realtà neanche troppo. “Rispetto alle valute tradizionali tipo euro o dollaro non è che ce ne siano in circolazione così tanti” chiarisce Razzante. Ed è per questo che la criminalità organizzata li utilizza soprattutto in quantità ridotte: “Soprattutto microbonifici. Difficilmente troveremo trasferimenti di denaro in Bitcoin da dieci milioni di euro alla volta”. Insomma: se devo comprare una partita di droga, invece che portarti la busta con dentro il cash ti faccio un piccolo versamento di qualche migliaio di euro convertito in criptovaluta sul tuo wallet digitale. Poi il destinatario, senza troppi problemi, se li cambia in moneta fiat. Ovviamente, stiamo parlando di traffici illegali. Non solo riciclaggio di denaro di provenienza illecita. “Traffico di armi, droga, esseri umani. Ma anche finanziamento al terrorismo. Basti pensare che molti attentati progettati e attuati da Al Qaida, Stato Islamico ed altre sigle legate all’estremismo politico e religioso internazionale sono stati finanziati direttamente in criptovalute”.

Transazioni che avvengono sul dark web. Lo stesso dove operavano i server tedeschi di Hydra. “In quella parte nascosta del web – spiega Razzante, che attualmente ricopre anche l’incarico di consigliere per la cybersicurezza del Sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulé – a dominare l’economia sommersa sono proprio Bitcoin e compagnia. Le criptovalute hanno un enorme vantaggio rispetto a bonifici, carte di credito e versamenti tradizionali: è molto più difficile tracciarne i movimenti”. Le cripto infatti nascono, grazie alla tecnologia blockchain, come meccanismo peer to peer. È un dialogo diretto tra il mio wallet e quello del destinatario. Oppure tra un pc e un altro. “Si mandano criptovalute direttamente tra due soggetti. E nessuno può saperlo. A meno che non ci sia un’investigazione diretta sul mio computer. È così che funziona la blockchain. È una catena di blocchi. Magari la prima transazione è possibile seguirla. Ma da lì in poi, dal secondo o terzo passaggio, non li becchi più”.

Fino a quando l’anonimato sarà la caratteristica principale delle cripto, l’utilizzo da parte della criminalità organizzata – “quella italiana – ci dice Razzante – le usa da ormai 7-8 anni” – resterà molto elevato. “Se non voglio far trovare le criptovalute, posso nasconderle. Se non voglio far trovare una valigetta di contanti o un bonifico, è tutta un’altra storia”. Ed è in questo aspetto delicatissimo, cioè la tracciabilità, che dovrebbe intervenire un’adeguata ed efficace regolamentazione del fenomeno. “Vorrei esser chiaro al riguardo. Io non penso che si tratti di uno strumento da condannare senza se e senza ma. Però, ormai, è necessaria una regolamentazione”. Il fenomeno è troppo grande per continuare ad essere giuridicamente ignorato. “E l’intervento delle autorità politiche e bancarie, mi auguro su scala europea, deve essere pesante. Vuoi operare in cripto? Nessun problema, ma vai dal notaio oppure vai in banca, apri un conto corrente e rispetta i limiti previsti dalla legge e dalle regole monetarie. Registrati e sottoponiti all’adeguata verifica, il know your customer, alla quale è già sottoposta la tradizionale clientela bancaria”.

Solo in questo modo sarà possibile risolvere la questione della tracciabilità. Da questo punto di vista, l’Italia ha iniziato a muoversi. A partire dal prossimo 18 maggio sarà operativo il registro degli operatori in criptovalute istituito presso l’Organismo degli Agenti e Mediatori che sarà responsabile della sua tenuta. “Lo snodo è tutto qui. Applicare anche ai cryptoasset le regole antiriciclaggio che vigono sulle valute tradizionali. Poi, però, non è che si può fare molto altro, per la verità. Anche euro e dollari, per fare due esempi, possono essere riciclati. Però è chiaro che se vogliamo cercare di chiudere più strade possibili alla criminalità organizzata allora vado ad implementare regole serie anche per le criptovalute”.

Ultime

Alto tradimento

Il 25 luglio tedesco: cruento e fallito

Potrebbe interessarti anche