venerdì 19 Luglio 2024

HYPERBOREA

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Degli Iperborei, il popolo che dimorava nell’estremo Settentrione, si trova menzione presso numerosi autori dell’antichità latina e greca. La prima testimonianza risale a Ecateo di Mileto (VI sec. a. C.), che li situa all’estremo nord della terra, tra l’Oceano e i Monti Rifei.


Dati analoghi, ma più ampi, vengono forniti da Erodoto, che scrive: “Aristea di Proconneso figlio di Castrobio, componendo un poema epico, disse di essere arrivato, invasato da Febo, presso gli Issedoni e che al di là degli Issedoni abitano gli Arimaspi, uomini monocoli, e al di là di questi i grifi custodi dell’oro, e oltre a questi gli Iperborei, che si estendono fino ad un mare. Tutti costoro, eccetto gli Iperborei, a cominciare dagli Arimaspi aggrediscono di continuo i loro vicini; e così dagli Arimaspi furono scacciati dal loro paese gli Issedoni, dagli Issedoni gli Sciti; e i Cimmeri, che abitano sul mare australe, premuti dagli Sciti, abbandonarono il paese” (IV, 13). Ecateo di Abdera (IV-III sec. a. C.), autore di un’opera Sugli Iperborei di cui ci son pervenuti solo alcuni frammenti, li colloca anch’egli a nord, in un’isola dell’Oceano “non minore della Sicilia per estensione”. Su questa isola, dalla quale è possibile vedere la luna da vicino, i tre figli di Borea rendono culto ad Apollo, accompagnati dal canto di una schiera di cigni originari dei Monti Rifei.


Altre citazioni si trovano nel primo Inno a Dioniso pseudomerico, in Pindaro, in Eschilo, in Diodoro Siculo, in Luciano. Da parte sua, Strabone colloca gli Iperborei tra il Mar Nero, il Danubio e l’Adriatico: “Tutti i popoli verso nord ebbero nome, da parte degli storici greci, di Sciti o Celtosciti, ma gli scrittori dei tempi ancora più antichi, ponendo distinzioni tra loro, chiamavano Iperborei quelli che vivevano intorno al Ponto Eusino, all’Istro e all’Adriatico” (Geografia, 11, 6, 2).


Tra i latini, troviamo questo passo di Virgilio: “tale è la gente selvaggia che sotto l’iperboreo Settentrione viene sferzata dal vento rifeo e si avvolge il corpo in fulve pellicce di animali” (Georgiche, 3, 381-383). Ma la testimonianza più ricca è quella di Plinio il Vecchio: “Poi ci sono i Monti Rifei e la regione chiamata Pterophoros per la frequente caduta di neve, a somiglianza di piume, una parte del mondo condannata dalla natura ed immersa in una densa oscurità, occupata solo dall’azione del gelo e dai freddi ricettacoli dell’Aquilone. Dietro quelle montagne e al di là dell’Aquilone, un popolo fortunato (se crediamo), che hanno chiamato Iperborei, vive fino a vecchiaia, famoso per leggendari prodigi. Si crede che in quel luogo siano i cardini del mondo e gli estremi limiti delle rivoluzioni delle stelle, con sei mesi di chiaro e un solo giorno senza sole; non, come hanno detto gl’inesperti, dall’equinozio di primavera fino all’autunno: per loro il sole sorge una volta all’anno, nel solstizio d’estate, e tramonta una volta, nel solstizio d’inverno” (Naturalis Historia, IV, 88).


Come non ricordare il dialogo di Zarathustra e di Ahura Mazda in Vendidad, II, 39-41? “’O creatore del mondo materiale, degno degli asa! Quali candelabri sono quelli, o Ahura Mazda degno degli asa, che là risplendono, nella fortezza edificata da Yima?’ Allora disse Ahura Mazda: ‘Sono candelabri eterni e passeggeri. Una volta sola si vedono sorgere e tramontare il Sole, la Luna e le stelle. E là viene considerato un giorno ciò che invece è un anno’”.


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