venerdì 19 Luglio 2024

Il contrattacco viene dagli usurai

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Gli americani tentano un’opa obliqua sul nuovo governo

Sei mesi. È la “vita residua” attribuita all’Egitto dalla Merrill Lynch, la più grande banca d’investimenti mondiale. Dopodiché «le posizioni esterne si irrigidiranno considerevolmente e la sostenibilità fiscale finirà sotto una severa pressione», recita l’algido linguaggio finanziario del report emesso ieri. In pratica, l’Egitto rischia di non avere più i soldi per pagare i debiti e i fornitori, interni ed esteri. E questo soprattutto per l’inevitabile crisi turistica: gli afflussi sono diminuiti, comunica il ministero del Turismo, del 17,3% nel primo trimestre di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2012. Anno in cui gli arrivi erano tornati ad avvicinarsi ai 12 milioni (erano oltre 14 milioni nel 2010, crollati del 37% a 9 milioni nel 2011), e questo grazie al fatto che si era riusciti a tenere al riparo le località del Mar Rosso. Tanto che l’allora ministro Hisham Zaazou prometteva all’inizio dell’anno che si sarebbe tornati entro il 2013 alle quote del 2010. Ma il guaio è che le entrate finanziarie sono crollate molto di più: da 46 miliardi di dollari nel 2010 a non più di 13 miliardi nel 2012, per via delle offerte sempre più scontate. Scivola così la quota sul Pil (559,8 miliardi nel 2012 per 85 milioni di abitanti), ridotta ormai a un miserrimo 4%. Tanto che Paolo Scaroni, il capo dell’Eni che è il più importante operatore occidentale nel Paese e che ha rimpatriato tutti gli italiani, ha commentato ieri: «Beh, di certo una rivoluzione non è il miglior magnete per attrarre i turisti».

Tutto questo ovviamente potrebbe cambiare, anche rapidamente, in meglio se il nuovo governo Mansour troverà come d’incanto coesione, pace e determinazione per uscire dalla crisi. Ma la Merrill Lynch non lascia spazi all’ottimismo: «Dubitiamo che credibili riforme finanziarie intervengano in questo periodo, e anche l’accordo con il Fondo Monetario è improbabile che sarà raggiunto». È un accordo, questo, assolutamente fondamentale per il Paese: la pre-intesa da 14,5 miliardi di dollari in aiuti (dei quali 4,8 li dovrebbe coprire il Fmi direttamente e gli altri le banche con la garanzia del fondo) era stata raggiunta all’inizio dell’anno, e si aspettava per renderla operativa
che venissero varate le riforme promesse da Morsi. È tutto congelato. «Già da qualche settimana il Fondo si era irrigidito sui sussidi alla benzina, che evidentemente fiaccano le finanze pubbliche e che Morsi non riusciva ad abolire», racconta Giulio Del Magro, capo economista della Sace, la società pubblica italiana per l’assicurazione all’export. «Il Cairo peraltro – tiene a precisare – è un discreto pagatore. Il 1° luglio ha saldato regolarmente con noi la tranche da 6,7 milioni di dollari di un vecchio debito con lo Stato italiano, parte di un pagamento complessivo da 600 milioni nei confronti di una serie di creditori occidentali. Così come in gennaio era stata pagata la precedente quota semestrale».
Di fatto però tutti i dati economici dell’Egitto sono da bollettino di guerra (civile). Tranne uno: la Borsa del Cairo ha salutato l’insediamento del presidente ad interim con un’imprevista impennata di quasi l’8%, che l’ha riportata sui livelli di due anni fa. Ma anche questa cifra va letta in controluce: i volumi scambiati sono così esigui che basta una minima ventata speculativa a far balzare gli indici. Nella congerie di cifre allarmanti, quella che desta maggiore preoccupazione è però ancora un’altra: le riserve valutarie sono crollate, secondo la banca centrale, da 36 miliardi di dollari (fine 2010) a 13,5. E questo malgrado il generoso aiuto che lo sceicco del Qatar (8 miliardi di dollari) garantiva a Morsi. Ora, cambiato lo scenario, sembra che il Cairo speri in qualche contributo dagli Emirati e dall’Arabia Saudita, ma il problema sono i tempi: le riserve servono a sostenere il cospicuo debito estero e un’altra banca, la Hsbc, calcola che di qui a fine anno l’Egitto ha bisogno di 33 miliardi per i soli costi finanziari, compreso il rifinanziamento di precedenti aiuti ricevuti dall’Fmi. Intanto Moody’s e S&P, e come pensare che si sarebbero lasciate scappare l’occasione, hanno acceso il faro rosso sul Cairo, già bersagliato di downgrading fino al livello di CCC+, a un passo dal minimo. E, per finire, l’Ocse ha peggiorato la sua categoria di rischio a 6/7.

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