venerdì 19 Luglio 2024

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La  Corea del Sud e quella del Nord, dopo più di  60 anni di divisione data dagli opposti sistemi politici, hanno sviluppato profonde differenze economiche, culturali e militari. Il Sud, dopo la sanguinosa guerra che ha infiammato la penisola per tre anni (1950 – 1953), è ora una democrazia dinamica con una vibrante economia caratterizzata da un’industria ad alta tecnologia che sostiene quasi 50 milioni di persone. Il Nord, che durante tutta la sua storia ha rappresentato uno degli Stati più ermetici al mondo, è retto da un sistema socialista caratterizzato dal forte culto della personalità dei suoi leader – soprattutto nei riguardi del suo fondatore Kim Il-sung – che mettono in pratica le dottrine della Juche e della Songun aventi il loro fulcro rispettivamente nell’idea del comunismo rivoluzionario e nella militarizzazione della società composta da circa 25 milioni di persone.
I rapporti tra Seul e Pyongyang – formalmente ancora in stato di guerra dall’armistizio del 1953 – hanno seguito un’evoluzione che è stata guidata dalle congiunture internazionali dettate dalle rispettive alleanze politiche in ossequio ai dogmi della Guerra Fredda, e, dopo il crollo dei regimi comunisti, da dinamiche interne soprattutto per iniziativa del Sud.
Sebbene la linea di demarcazione che corre lungo il 38esimo parallelo sia stata riconosciuta da entrambi i Paesi e rappresenti ancora uno dei confini più militarizzati al mondo, di diverso tenore sono state, nel corso degli anni, le rispettive rivendicazioni per quanto riguarda il limes marittimo: stabilita dall’Onu contestualmente all’armistizio, la Northern Limit Line (Nll) vede assegnare parecchie piccole isole alla Corea del Sud che geograficamente appartengono al Nord.
Questo è stato uno dei fattori destabilizzanti per la Penisola ed ha portato anche a scontri armati tra le parti che solo per l’intervento della comunità internazionale non sono degenerati. Si ricorda, a titolo d’esempio, l’affondamento avvenuto il 26 marzo del 2010 della corvetta di Seul “Cheonan”, colpita da un siluro lanciato da un sommergibile del Nord, ed il bombardamento d’artiglieria da parte di Pyongyang dell’isolotto di Yeonpyeong il 23 novembre dello stesso anno, che provocò parecchie vittime anche tra il personale militare di Seul.
Le relazioni tra Corea del Sud e Corea del Nord hanno attraversato cinque fasi a seconda delle diverse congiunture storiche. La prima fase, caratterizzata dal forte antagonismo reciproco, cessò nel 1972 con i primi contatti ufficiali tra le parti a seguito della politica di Washington che, con il Presidente Nixon, “aprì” alla Cina, il maggiore alleato di Pyongyang. Questa seconda fase terminò con il termine della Guerra Fredda, nel 1990, e coincise con un periodo di profonda crisi della Corea del Nord, attanagliata da una recessione economica così critica da portare a periodi di carestia; la quarta fase si aprì nel 2003 con il “Six Party Process” in merito alla questione nucleare e vide la prima vera collaborazione economica tra Nord e Sud. Collaborazione che terminò nel 2013 con la chiusura del complesso industriale condiviso di Kaesong, che segna la quinta ed ultima fase che possiamo indicare come conclusa con il recente meeting di Panmunjeom il 27 aprile del 2018.
Gli anni dell’antagonismo esistenziale
Tra il 1948 ed il 1972 – quindi già prima della Guerra di Corea – le relazioni tra Nord e Sud sono state caratterizzate da quello che si può definire come “antagonismo esistenziale” ovvero una profonda rivalità ontologica per la quale ciascuna parte vedeva l’altra come una minaccia alla propria esistenza e pertanto fissò come obiettivo l’eliminazione della controparte.
Per la Corea del Sud il Nord rappresentava un regime illegittimo e minaccioso dal quale difendersi ad ogni costo mentre Pyongyang vedeva Seul come un debole e instabile regime che sarebbe collassato sotto il peso delle sue stesse contraddizioni e pertanto la Corea del Nord avrebbe dovuto essere pronta per la riunificazione quando se ne fosse presentata l’occasione. Del resto nella dottrina politico/strategica di Kim Il-sung la riunificazione della Penisola sotto la leadership di Pyongyang ha sempre rappresentato il punto centrale dell’azione di governo plasmandone la stessa architettura statuale che è stata fortemente militarizzata ad ogni livello: per conseguire l’obiettivo della riunificazione era ed è imperativo mantenere una forza militare imponente capace di condurre operazioni su vasta scala contro la Corea del Sud ed i suoi alleati.
Durante quel periodo storico le relazioni inter-coreane hanno visto una interpretazione in salsa asiatica della dottrina Hallstein della Germania Ovest, o se vogliamo hanno praticato quella che è la politica della Cina verso Taiwan: il  reciproco rifiuto netto di riconoscere l’esistenza dello Stato rivale e di mantenere legami diplomatici con qualsiasi altra nazione che ne abbia riconosciuto l’esistenza. Sostanzialmente quindi Corea del Nord e Corea del Sud non avevano alcun tipo di relazione né tanto meno l’avevano con i rispettivi alleati aderendo in modo intimo ed esacerbando le logiche della Guerra Fredda.

L’apertura di Nixon alla Cina
Il cambio di rotta nei rapporti tra Corea del Nord e del Sud si ebbe sotto la presidenza Nixon, quando Washington normalizzò i rapporti con la Repubblica Popolare Cinese, alleato principale di Pyongyang.
Per evitare che i rispettivi e più importanti alleati li abbandonassero, i due Stati cominciarono le prime dirette negoziazioni inizialmente attraverso la Croce Rossa e successivamente tramite una serie di incontri tra ufficiali dell’intelligence delle due parti. Un anno dopo la visita del Segretario di Stato americano Kissinger a Pechino, Seul e Pyongyang siglarono un accordo dove si delinearono le linee guida per una pacifica riunificazione. Era il 4 luglio del 1972.
Fondamentalmente l’accordo portò ad un nulla di fatto: dopo una mezza dozzina di incontri tra le parti si generò una fase di stallo che portò al taglio dei colloqui da parte della Corea del Nord a metà del 1973. Parallelamente, però, la forte crescita economica di Seul, il cui picco si ebbe nel corso degli anni ’80, spinse l’allora Presidente Roh Tae Woo ad intraprendere una fase di disgelo con le nazioni del blocco sovietico sul modello della “Ostpolitik” della Germania Occidentale. Quella che si può definire come “Nordpolitik” di Seul aveva come linea guida una visione di cooperazione inter-coreana – e da ultimo la riunificazione – sotto il segno della “Comunità Nazionale Coreana”. Diretta conseguenza fu un parallelo approccio da parte di Pyongyang alla questione sotto forma di una “confederazione” tra i due sistemi esistenti nella Penisola. Sebbene inizialmente il Nord presentò una linea per una unificazione “tout court”, successivamente si adattò a che la “confederazione” fosse una fase transitoria che potesse dare vita a due “governi regionali”.
Entrambe le proposte, però, rimasero in astratto sebbene i rapporti tra Nord e Sud continuarono cautamente sotto forma di sporadici contatti tra le parti.

La fine della Guerra Fredda
Gli anni ’90 cominciano sotto i migliori auspici per quanto riguarda i rapporti tra Corea del Nord e del Sud. Nel dicembre del 1991 viene siglato un accordo di riconciliazione, non aggressione, scambio e cooperazione tra le parti – anche chiamato “Accordo Base” – che rappresenta la più importante tappa nella normalizzazione dei rapporti tra Seul e Pyonyang dal 1972.
L’anno successivo, sempre nel quadro dell’Accordo Base, viene firmata la “Declaration of the Denuclearization of the Korean Peninsula” che lasciava ben sperare per un effettivo cambio delle relazioni tra Nord e Sud ma che, ancora una volta, condusse ad un nulla di fatto.
Il collasso del sistema sovietico e la fine della Guerra Fredda (1989 – 1991) provocarono un profondo shock nella Corea del Nord che vedeva svanire improvvisamente tutti i suoi alleati strategici e commerciali, e per la prima volta il regime vide la propria stessa esistenza messa a repentaglio dalle congiunture internazionali.
La successiva prima crisi nucleare (giugno 1994), con l’espulsione degli ispettori dell’Aiea (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), agitò lo spettro di un conflitto con il Sud e gli Stati Uniti. Conflitto disinnescato solamente dalla visita dell’ex Presidente Jimmy Carter a Pyongyang che portò al primo vero accordo tra Usa e Corea del Nord in merito alla questione atomica (ottobre 1994). La diretta conseguenza dell’apertura dei mercati degli ex Paesi dell’Est europeo alle economie occidentali portò all’isolamento della Corea del Nord che piombò in un periodo di terribile recessione che causò addirittura una carestia su vasta scala. In risposta Pyongyang corse ai ripari proclamando la sua continua aderenza al socialismo di stampo autarchico che aveva caratterizzato il Paese sin dalla sua nascita.
Comincia in questo periodo quella che si può definire come la “diplomazia del ricatto” ovvero il gioco diplomatico di Pyongyang che mette sul piatto la gestione del proprio programma nucleare in cambio di concessioni internazionali; strategia che non sarà più abbandonata dalla Corea del Nord arrivando a diventare parte integrante della politica estera di Kim Jong-un anche e soprattutto coadiuvata dalla “diplomazia dei missili”.
Questo periodo di difficoltà economica, come già accennato, segnò il congelamento dei rapporti con il Sud, riesumati solo nel 1998 quando la situazione si normalizzò dopo alcuni anni in cui il Pil di Pyongyang vide un’inversione di tendenza guadagnando anche il 6% l’anno.
In questo mutato panorama internazionale anche la politica di Seul vede un cambio di rotta: cessate le dinamiche della Guerra Fredda la Corea del Sud inizia a ricercare attivamente contatti con il Nord nel quadro di una politica di mutua cooperazione nel campo della cultura, commercio, assistenza umanitaria e turismo. La politica del Presidente Kim Dae Jung, eletto nel 1997, vede infatti avere tra i punti principali in agenda il miglioramento delle relazioni con il Nord considerate come fondamentali: nel marzo/aprile del 1998 fu infatti levato il blocco agli investimenti in Corea del Nord tanto che entro la fine del 2001 Seul divenne il principale partner economico di Pyongyang dopo la Cina. Questa viene chiamata la “Sunshine Policy” e rappresenta uno dei punti più alti nelle relazioni tra i due Paesi.
La “Sunshine Policy” sembrò vacillare nel 1998 a seguito di un test missilistico nordcoreano che portò ad una nuova crisi con gli Stati Uniti, ma fondamentalmente la politica di Seul aveva già cominciato a sganciarsi da quella di Washington, pertanto i legami tra Nord e Sud rimasero sufficientemente saldi sino all’avvento della presidenza Bush e al suo ascrivere la Corea del Nord in quello che definì come “Asse del Male” insieme ad Iran e Iraq (gennaio 2002). A giugno del 2000, infatti, avviene il primo storico incontro tra i leader delle due Coree: Kim Jong-il e Kim Dae Jung si incontrano a Pyongyang.
Nonostante il deterioramento tra Usa e Corea del Nord, Seul si adoperò per ristabilire rapporti amichevoli con Pyongyang: il 28 aprile del 2002 – 3 mesi dopo il discorso di Bush sull’Asse del Male – l’inviato speciale sudcoreano, Lim Dong Wong, vola a Pyongyang per riprendere la cooperazione economica tra i due Paesi, mentre ad agosto dello stesso anno avviene il primo incontro di alto livello tra i ministri del Nord e del Sud a Seul.

La crisi del 2003 ed il “Six Party Process”
La decisione della Corea del Nord di riaprire i suoi impianti atomici di Yongbyon contestualmente all’espulsione degli ispettori dell’Aiea e alla decisione di ritirarsi dal trattato Npt (Non-Proliferation Treaty), porta ad un nuovo raffreddamento dei rapporti con Washington ma le relazioni con il Sud, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, continuano.
Un tratto distintivo della crisi del 2002/2003 è infatti la visione critica nei confronti della politica americana che accomuna Seul e Pyongyang, esattamente il contrario di quanto accadde nel 1994. Questo però non deve lasciar intendere che le relazioni tra i due Paesi fossero cordiali: il Sud condannò fermamente il procedere del programma nucleare del Nord e parallelamente Pyongyang attaccò duramente il governo di Roh Moo-hyun per la decisione di inviare truppe in Iraq.
In ogni caso in quel periodo proseguirono i contatti tra le diplomazie raggiungendo un accordo in sette punti in merito alle relazioni economiche inter-coreanee (maggio 2003) che portò alla nascita del polo industriale “congiunto” di Kaesong e indirettamente al “Six Party Process” sulla questione nucleare.
Le alterne vicende che caratterizzano i primi anni 2000 vengono ben rappresentate dalla questione nucleare che lega principalmente la Corea del Nord agli Usa, ma Seul si ritaglia un ruolo chiave quando, dopo la visita a Washington del Presidente Roh, a giugno del 2005 una delegazione sudcoreana in visita a Pyongyang si incontra con Kim Jong-il che esprime la sua volontà di rientrare nel “Six Party Process” in cambio di forniture energetiche alla Corea del Nord.
Le relazioni tra i due Paesi subirono una prima vera frattura a seguito dell’affondamento della corvetta “Cheonan” e del bombardamento dell’isola di Yeonpyeong, come già accennato, che condussero ad una serie di sanzioni da parte del governo di Lee Myung Bak: la Corea del Sud proibì alle navi del Nord l’utilizzo delle linee di navigazione nelle proprie acque territoriali e sospese tutti gli scambi commerciali all’infuori del Kic (Kaesong Industrial Complex). Nonostante questo Seul e Pyongyang intrattennero colloqui segreti a Pechino ad aprile del 2011 che però non sortirono alcun risultato.

L’avvento di Kim Jong-un
La presidenza di Park Geun Hye (dicembre 2012) inaugurò un nuovo corso nella diplomazia tra i due Paesi caratterizzata da un approccio più pragmatico sulla base della costruzione di nuovi rapporti di fiducia ma nel contempo con l’intenzione di rispondere fermamente a qualsiasi tipo di provocazione. Park si fece carico anche di caldeggiare la nascita di un organismo di cooperazione regionale multilaterale che prevedeva l’inclusione della Corea del Nord, che intanto aveva visto la morte di Kim Jong-il e l’avvento dell’attuale leader Kim Jong-un.
I rapporti però rimasero tesi anche in considerazione del notevole impulso dato dal nuovo leader al programma atomico e missilistico: la Corea del Nord condusse il suo terzo test nucleare (il primo dell’era di Kim) a febbraio del 2013 e in occasione dell’esercitazioni militari congiunte tra Usa e Corea del Sud del mese successivo (Foal Eagle/Key Resolve) dichiarò nullo l’armistizio del 1953, interruppe la linea diretta con il Sud e dichiarò lo “stato di guerra” con Seul. Contestualmente ritirò i 53 mila suoi lavoratori impiegati a Kaesong portando Seul a fare altrettanto in risposta.
Le due parti gradualmente ritornarono al dialogo cercando di riaprire l’area di Kaesong (fonte di valuta pregiata per il Nord) raggiungendo un accordo ad agosto del 2013 in cui furono prese misure bilaterali volte a prevenire la chiusura del sito industriale durante le eventuali future crisi, ma gli ulteriori passi per la sua messa in pratica si risolsero in un nulla di fatto. Nonostante questo Seul si fece promotrice in seno all’Onu di una campagna per la raccolta di fondi a scopo umanitario per il Nord e contestualmente inaugurò un progetto di protezione ambientale ed archeologica con Pyongyang inviando tecnici oltre il 38esimo parallelo. In risposta la Corea del Nord presenziò con tre ufficiali di alto rango alla cerimonia di chiusura dei Giochi dell’Asia ad Incheon, a cui parteciparono anche atleti nordcoreani.
Il 2015 vede un ulteriore acutizzarsi della crisi tra Nord e Sud quando, dopo il ferimento di due soldati sudcoreani di pattuglia lungo la Zona Smilitarizzata a causa di una mina, Seul riprende l’attività di propaganda via altoparlante lungo il confine (considerata una provocazione da Pyongyang), crisi che però si risolve ben presto ad ottobre dello stesso anno.
In concomitanza con il quarto test atomico nordcoreano, a febbraio del 2016, il Presidente Park chiude definitivamente il sito industriale di Kaesong e parallelamente annuncia nuove sanzioni unilaterali. In risposta Pyongyang militarizza Kaesong e congela tutti i beni delle società sudcoreane. Nel corso dello stesso anno viene annunciato il dispiegamento del sistema antimissile americano Thaad in Corea del Sud per rispondere ai continui test missilistici che evidenziano il balzo in avanti della tecnologia nordcoreana che l’anno successivo svela i suoi primi missili intercontinentali in grado di colpire il territorio metropolitano degli Stati Uniti (i missili “Hwasong-14” e “Hwasong-15”).
A ottobre del 2017, dopo il sesto ed ultimo test atomico nordcoreano avvenuto il 3 settembre che portò ad una nuova serie di sanzioni internazionali, Pyongyang annuncia la riapertura del sito industriale di Kaesong aprendo così una nuova fase di disgelo tra i due Paesi che porta direttamente all’annuncio da parte dell’unico membro nordcoreano del Comitato Olimpico Internazionale – Chang Ung – della volontà di partecipare ai Giochi Invernali di Pyeongchang del 2018. Parallelamente il Presidente sudcoreano Moon Jae-in spinge per riavviare i contatti con il suo omologo del Nord.
Il 2018 è l’anno di quello che pare, a tutti gli effetti, il primo reale tentativo di pacificazione tra le due Coree. Dopo la partecipazione ai Giochi Invernali e la riattivazione della linea diretta con il Sud, Kim Jong-un apre alla possibilità di pacificazione con Seul e parallelamente con Washington. Pacificazione che sembra avere solide basi dopo lo storico incontro tra i due leader avvenuto nel villaggio di Panmunjeom, lungo la Zona Smilitarizzata, il 27 aprile del 2018.
I primi frutti di questo nuovo corso cominciano subito a vedersi: il 26 giugno le delegazioni dei due Stati si sono incontrate nella “Peace House” di Panmunjeom per accordarsi sulla modernizzazione e implementazione delle connessioni ferroviarie nei due corridori (occidentale ed orientale) che attraversano il 38esimo parallelo.

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