venerdì 19 Luglio 2024

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 Quella di domani è l’alba del Solstizio

Solstizio d’inverno
Avviene quando il Sole, nel suo moto annuo lungo l’eclittica  viene a trovarsi alla sua minima declinazione.e la sua minima altezza sull’orizzonte.
L’arco diurno è più breve che in qualsiasi altro periodo dell’anno.
L’ombra di uno gnomone  (l’asta  verticale infissa nel terreno che nell’antichità serviva per determinare l’ora) proiettata lungo la linea meridiana, raggiunge la sua massima lunghezza.
Il giorno più corto non è sempre lo stesso ma varia nell’arco di ventiquattrore;  quest’anno capita proprio il 21 dicembre e l’alba del 22 dicembre è quindi quella sostiziale.
Dal 22 dicembre, minuto dietro minuto, le ore di luce aumentano, fino all’apoteosi del Solstizio di Estate quando si avrà il giorno più lungo e la notte più corta dell’anno.

Il solstizio d’inverno fu sempre considerato sacro, meraviglioso e in qualche modo magico.
Iniziava nella nottata più lunga in cui si attendeva la nascita del Nuovo Sole, si esaltava nel tripudio dell’alba seguente, proseguiva con la celebrazione della raggiunta fissità (sol-stitium) dell’astro che par immobile per tre giorni, dal 22 al 24 dicembre, e si chiudeva con l’apoteosi del 25 dicembre.
Tale data, quella che per i Romani fu il Dies Natalis Solis Invictus, era già fissata in Persia un millennio prima della fondazione dell’Urbe.
Nella Persia antica il solstizio invernale era celebrato cantando l’inno che narrava la nascita del mondo.
In Alessandria d’Egitto abbiamo la  festa del Natale di Horus. Le statue della dea madre Iside, col piccolo in grembo o attaccato al seno (prefigurazione delle statue della Madonna che allatta il sacro Bambino), venivano portate in processione di notte verso i campi al lume delle torce. E la folla rivolgeva all’immagine una serie di  invocazioni, le cosiddette “litanie di Iside” che, nella versione greca, sembrano concordare perfettamente con le successive litanie della Madonna.
Sempre in Egitto, ad Helipolis (la Città del Sole) invece, da prima ancora, almeno dal XV secolo a.C, si celebravano feste solstiziali e luminose incentrate su concezioni virili.
I Germani festeggiavano lo Yule legato a Wotan/Odino che durante le notti solstiziali andava a caccia insieme ai guerrieri caduti contrassegnando così l’atemporalità eternizzante del sol-stitium. I bambini di notte lasciavano le calzature fuori dalla porta e Wotan/Odino le riempiva di doni e dolci. Di lì, dopo la sovrapposizione di San Nicola, o Santa Klaus, abbiamo poi avuto Babbo Natale.
Anche l’Albero di Natale, generalmente un sempreverde, indica sia l’assialità che l’atemporalità ed è Axis Mundi, Albero della Vita.
A Roma il solstizio era legato ai Saturnalia (che contenevano il ricordo dell’Età dell’Oro) e che si fusero, già nel I secolo avanti Cristo, con le analoghe feste mithraiche.

Tra il IV e il  V secolo dopo Cristo la Chiesa romana, acquisito il potere politico e, chiamata a cementare dall’alto una società non evangelizzata, considerata la diffusione irreprimibile dei culti solari, pensò di celebrare nello stesso giorno del Sole Invictus il Natale del Cristo, inteso come il vero Sole.
Un’operazione politica che trova anche una spiegazione meno meschina: se si considera il Cristo come figlio del Verbo e via esperenziale di verità “rivelata”, la sovrapposizione acquista un significato diverso dalla semplice manovra ecclesiastica.
Nel prosieguo della composizione europea, ai temi romani accolti dalla Chiesa, e che già riprendevano a loro volta degli aspetti mithraici ed isiaci, si sono aggiunti quelli nordici e ha  così preso forma tutto il simbolismo natalizio che conosciamo oggi.

Il Solstizio d’Inverno è il passaggio dalle Tenebre alla Luce e tale constatazione ha pervaso le celebrazioni attraverso i secoli. All’attesa puramente cerimoniale dei più e alla concentrazione pulita e speranzosa di molti che si limitano però alla categoria dualistica più volgare e dozzinale, si collega anche un’introspezione reale più selezionata.
Nulla più del Solstizio dà il senso quasi tangibile del Solve et Coagula e nulla più del Solstizio d’Inverno detta una riflessione, un ripiegamento su di sé nel momento di trapasso, tra la morte della luce e la rinascita della luce: è quasi un morire a se stessi per rinascere purificati.
Per questo, oltre che per il momento astronomico assiale, nulla più del Solstizio d’Inverno ha espresso il momento cardine per ognuna delle funzioni delle civiltà normalmente tripartite.
L’ultima difesa della terra ha motivato i contadini, l’esiguità della luce e il suo tremore ha stimolato i sacerdoti, la prova intima e nuda con se stessi nel momento in cui tutto è messo in discussione, ha esaltato i guerrieri.
Il Sole rinascente ha unito e sublimato tutti.

Le culture tradizionali e guerriere riemerse nel XX secolo si sono cementate su questo piedistallo e, financo dopo l’avvento del potere globale antitradizionale e criminale che le stroncò, chi ad esse si è continuato a riferire ha mantenuto questa concezione vivificante e alcuni momenti comunitari solstiziali la cui importanza trascende la stessa consapevolezza di chi continua a viverli.

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