sabato 20 Luglio 2024

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Ora gli americani con la controbolla si apprestano a mettere in ginocchio quelli che avevano favorito facendo alzare i costi applicando il programma di Cheney

Qual è il contrario di «bolla»? Il dizionario non ne registra nessuno. Per descrivere quello che sta accadendo sul mercato del petrolio forse bisognerebbe coniare un nuovo termine: «sbolla» o «debolla». Forse «implosione» potrebbe andare bene, per non attirarsi gli strali – perfettamente giustificati – dell’Accademia della Crusca. È tuttavia evidente che ormai i fondamentali non bastano più a giustificare una caduta tanto rovinosa dei prezzi: il Brent ha messo in fila otto settimane consecutive di ribasso, qualcosa che non si vedeva almeno dal 1988 (le statistiche più indietro non vanno) e in soli quattro mesi ha ridotto il suo valore di un terzo, precipitando da un picco di oltre 115 dollari al barile a metà giugno fino a un minimo quadriennale di poco più di 76 dollari. E probabilmente non è finita qui.
Molti analisti pensano che le quotazioni debbano ancora toccare il fondo e persino l’Agenzia internazionale per l’energia – di solito cauta nel fare previsioni sui prezzi – ha avvertito che «la pressione al ribasso potrebbe aumentare nella prima metà del 2015». «È sempre più chiaro – aggiunge l’organismo dell’Ocse – che è iniziato un nuovo capitolo della storia dei mercati petroliferi».
L’offerta di greggio è in effetti molto più abbondante della domanda, a causa principalmente dello shale oil, che ha spinto la produzione degli Stati Uniti a superare 9 milioni di barili al giorno: una quantità straordinaria, che ormai la mette in competizione con colossi petroliferi del calibro dell’Arabia Saudita e della Russia.
Tuttavia la forsennata corsa al ribasso che si è scatenata sui mercati petroliferi adesso comincia ad assomigliare molto al rally del 2008: una corsa in quel caso al rialzo, culminata nel record storico del barile, oltre 147 dollari. Anche allora le giustificazioni sul fronte dei fondamentali non mancavano, prima tra tutte l’imprevisto emergere della Cina come voracissimo consumatore di materie prime. Ma a un certo punto ci aveva messo lo zampino anche la speculazione. Lo stesso sta succedendo oggi, anche se – chissà come mai – stavolta nessuno grida allo scandalo.

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