venerdì 19 Luglio 2024

Se Salvini forza la mano

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Cosa gli conviene adesso?

 

Matteo Salvini avrà molti limiti ma ha senso e intuito politico. Aprendo inaspettatamente la crisi alla soglia del Ferragosto, nella guerra di posizione in corso, ha fatto fuori un altro, autorivelatosi, mero pupazzo del PDPR (partito del presidente della repubblica): ossia Beppe Grillo, sceso poco saggiamente in campo a dare man forte a Renzi, Conte e forse allo stesso Berlusconi. I cinque Stelle continuano con velocità la marcia verso l’abisso e non è da escludere allo stato dei fatti che Di Maio trovi la quadra con Salvini sul MEF, pur di non di veder attuato l’incubo storico del popolo pentastellato, che si ritroverebbe truppa mandata al macello al servizio del “bulletto di Rignano” dileggiato per anni come il peggior nemico politico. Quindi, cosa concretamente conviene a Salvini? Va premesso che nell’architettura istituzionale odierna, l’unico che ha “i pieni poteri” e che può realizzare una coerente strategia di Governo è nei fatti il Presidente della Repubblica e lo si è visto, per fare l’esempio più eclatante, lo scorso anno quando tradendo chiaramente il mandato popolare Mattarella impose due suoi uomini ai ministeri strategici: Esteri ed Economia, per far sì che in sostanza il Governo del cambiamento tutto formalmente cambiasse per lasciare tutto sostanzialmente come prima. Di conseguenza, è difficile “governare” in Italia per un “sovranista” e “populista” come Salvini o chi per lui sin quando non si sterzerà con determinazione verso un modello di democrazia sostanziale plebiscitaria, che ampli taluni già previsti (o nei fatti comunque già ampiamente esercitati, come i vari colpi di stato antipopolari del passato hanno mostrato) poteri dell’esecutivo e che decida a Roma, non a Bruxelles o a Francoforte o a Pechino, quale sia la politica monetaria od economica di cui l’Italia ha bisogno. Nello scenario attuale dunque pensiamo, in base a quanto detto, a cosa possa convenire al leader leghista.

a)      Governo Renzi Grillo formalmente guidato da Conte con la benedizione di Mattarella; allo stato attuale, in base alla premessa di cui sopra, è forse il piano che più converrebbe a Salvini. Renzi e Grillo hanno già dato ampia dimostrazione di pressappochismo politico e di scarso realismo, ai limiti del masochismo, nelle scelte di loro diretta competenza. Per quanto possano essere sostenuti da una fazione dello Stato profondo italiano (sempre di obbedienza internazionale, clintoniana diciamo per intenderci), non avrebbero il sostegno diretto di Mario Draghi e farebbero certamente disastri. Ove non scoppiassero nel frattempo rivolte sociali sul modello dei Gilet Jaunes francesi, il consenso verso Salvini crescerebbe ancora di più.

b)      Governo Draghi a cui Mattarella non si potrebbe opporre, per quanto Mattarella e Draghi non rimandino alla medesima fazione economica politica delle elites. E’ lo scenario imprevisto e imprevedibile: Draghi, per il suo spessore internazionale, potrebbe forse godere di una fiducia e di una flessibilità economica che pur in un contesto di crisi farebbe tirare qualche sospiro di sollievo qua e là. Nondimeno si troverebbe a svolgere da parafulmine alle varie guerriglie tra bande che popolano i sottoboschi della vita politica e finanziaria italiana risultando enormemente indebolito. In primis si troverebbe investito dal fuoco amico renziano, prodiano e probabilmente mattarrelliano. Per quanto anche fazioni trumpiane statunitensi possano in teoria gradire un simile scenario, è difficile che Draghi, non abituato alla lotta politica diretta e poco aduso alla tattica alla politica immediata, accetti di svolgere questo ruolo, una sorta di vittima del tritacarne della politica italica, con il rischio incombente del grande tecnico che fallisce sempre dietro l’angolo. Trump, all’annuncio della crisi, ha predisposto e organizzato il viaggio di Pompeo in Italia. O imporrà la soluzione Draghi o placherà in altro modo certo ardore strategico del partito clintoniano italiano; lo scandalo del CSM come lo scandalo internazionale del Russiagate antitrumpiano potrebbero essere pistole fumanti indirizzate contro il partito clintoniano italiano, di cui lo stesso presidente della repubblica fa parte.

c)      Il terzo scenario è quello a cui sopra accennavo; il dietrofront di Di Maio sulla difesa dell’attuale MEF, che costituisce il punto di scontro dirimente. Questa sarebbe una vittoria tattica salviniana se passasse però, con certezza, la linea economica di graduale de-tassazione delle Piccole e Medie Imprese promessa dai leghisti. Altrimenti Salvini deve rinunciare e non opporsi, anzi il contrario, all’eventuale scenario a e b, con tutte le sue varianti del caso. Ossia, se al posto di Draghi sarà Cottarelli o Boeri, per fare un esempio, tanto meglio, l’effetto catastrofico Monti II sarebbe certo.

Il voto è preferibile, solo a patto che vi sia un piano strategico (l’unico che oggi conti veramente) basato appunto sul disegno di un modello costituzionale che faccia perno sul concetto di democrazia sostanziale plebiscitaria e sulla vita patriottica dell’Esercito come modello civico di italianità e d’identità nazionale per le nuove generazioni, sempre più in preda alla furia del dileguare del nichilismo tecnologico. Altrimenti gli italiani continueranno a restare un popolo coloniale, non comprendendo la immensa lezione storica degli unici tre statisti Cavour, Mussolini, Giuseppe Pella ( i primi due uccisi dagli anglosassoni, il terzo bruciato politicamente sempre da inglesi e americani sulla questione jugoslava e su quella mediterranea) che avevano l’ambizione di fare degli italiani un popolo guida del Mediterraneo e del mondo. Ieri dalla Calabria Salvini ha detto che “gli italiani sono un grande popolo, non sono secondi a nessuno, lo hanno mostrato e a breve lo mostreranno”. Se lo creda veramente o no io non lo posso sapere, ma se lo crede veramente si studi bene la strategia politica di questi tre uomini di stato e lasci allora perdere le minchiate autonomiste di Zaia e Fontana.

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