giovedì 18 Luglio 2024

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Sulla pelle dei palestinesi

Durante l’escalation tra Hamas e Israele un silenzio insolito ha avvolto l’Iran. La Repubblica islamica è strettamente legata al Movimento che controlla la Striscia, a cui garantisce sostegno finanziario e militare, fornendo equipaggiamento ed addestramento. Negli undici giorni di scontri, Hamas ha infatti utilizzato piccoli droni iraniani, nuovi razzi con una gittata di 250 chilometri ottenuti grazie all’Iran e ha potuto contare su una potenza di fuoco superiore al passato garantitagli sempre dalla Repubblica islamica. Eppure durante tutta la durata dell’escalation la propaganda iraniana è stata piuttosto silente.

Le priorità dell’Iran
L’atteggiamento particolarmente cauto dimostrato dall’Iran in occasione dell’ultima escalation ha una spiegazione abbastanza semplice: l’accordo sul nucleare. In un momento particolarmente decisivo dei colloqui di Vienna, l’Iran non ha alcuna intenzione di inimicarsi gli Stati Uniti e la sua scelta ha già dato i primi frutti. L’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Aiea) ha infatti prolungato l’intesa temporanea con Teheran sulle ispezioni del programma nucleare fino al 24 giungo. Un segnale positivo per il salvataggio del Jcpoa. D’altronde già nei mesi scorsi la Repubblica islamica aveva messo da parte il desiderio di vendetta nei confronti di Israele, che ha condotto diversi attacchi cyber contro le sue centrali nucleari, per dimostrare la propria buona volontà a Washington.
Le nuove violenze tra Hamas e lo Stato ebraico non hanno fatto eccezione: l’Iran ha preferito attendere la firma del cessate-il-fuoco prima di esprimersi su quanto accaduto, tornando a giocare la carta della questione palestinese. A confermare l’estraneità – almeno questa volta – dell’Iran rispetto all’escalation è stata anche l’intelligence israeliana, secondo cui Hamas avrebbe agito senza ricevere previamente delle direttive dalla Repubblica islamica.
Una volta terminate le ostilità, tuttavia, l’Iran ha cercato di sfruttare la situazione a suo favore. Prima di tutto, Teheran può usare l’aumento della popolarità di Hamas in Cisgiordania ma soprattutto a Gerusalemme est per inserirsi in un contesto in cui si sta assistendo ad un crescente vuoto di potere. La causa palestinese è stata messa da parte dal processo di normalizzazione dei rapporti tra i Paesi a maggioranza musulmana e Israele, permettendo a Turchia e Iran di presentarsi più o meno direttamente come i nuovi sostenitori del popolo palestinese.
A questo proposito, Teheran sta cercando di aumentare la propria presenza a Gerusalemme est attraverso Hamas, sempre più popolare anche al di fuori della Striscia ed in particolare tra la popolazione gerosolimitana di origine araba. Così facendo, l’Iran punta anche a ridurre la presenza turca nella stessa città, aumentata negli ultimi anni grazie al lavoro delle organizzazioni religiose legate al governo e operanti all’estero, e minarne i tentativi di intestarsi la causa palestinese. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha usato toni particolarmente duri usati contro Israele durante l’ultima escalation, mentre l’Iran pur non avendo attacco verbalmente lo Stato ebraico sta agendo nella stessa direzione tramite Hamas, ben consapevole che in caso di elezioni il Movimento potrebbe espandere il suo potere ben oltre la Striscia di Gaza.

Tra normalizzazione e deterrenza
Ma la scelta di giocare la carta palestinese serve anche per minare gli Accordi di Abramo. La normalizzazione dei rapporti tra i Paesi a maggioranza musulmana e Israele sono pensati in chiave anti-Iran, quest’ultimo dipinto come la vera minaccia alla sicurezza e alla stabilità della regione. Non sorprende quindi che Teheran stia da tempo cercando di limitare la portata di questi accordi, con l’obiettivo ultimo di scongiurare il suo isolamento.
Nel fare ciò, la recente escalation si è dimostrata l’occasione giusta per ricordare che la questione palestinese è ancora di fondamentale importanza e che non può essere messa da parte per normalizzare i rapporti con Israele. Le stesse opinioni pubbliche dei Paesi che già hanno firmato questi accordi con lo Stato ebraico o che avevano accennato a tale ipotesi sono scese in piazza nei giorni scorsi, allarmando i governi sunniti e imponendo anche uno stop al dialogo tra Israele e Arabia Saudita. Con grande soddisfazione dell’Iran.
Inoltre secondo Meir Javedanfar, analista politico citato dal New York Times, quest’ultima escalation è servita all’Iran per riaffermare almeno in parte il suo potere deterrente. I missili e i razzi impiegati da Hamas per colpire Israele sono stati forniti al Movimento dall’Iran, a dimostrazione delle conseguenze che un confronto con la Repubblica islamica potrebbe significare per lo Stato ebraico. Il successo di Hamas nel superare le difese dell’Iron Dome è stato tra l’altro accolto in Iran come una sorta di vendetta nei confronti degli attacchi cyber contro le centrali nucleari, attacchi contro cui – come detto – l’Iran non ha potuto prendere provvedimenti diretti.

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