giovedì 18 Luglio 2024

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Almeno quindici miliardi di euro. E’ quanto costerà all’Italia l’acquisto di 131 caccia bombardieri d’attacco F35 1. Una spesa alla quale il ministro della Difesa, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, non vuole rinunciare. Nemmeno se lo scenario è quello di una manovra “lacrime e sangue”. L’uscita dal programma militare “Joint Strike Fighter F-35”, siglato a Washington dallo stesso Di Paola nel 2002, allora Segretario generale per la Difesa e gli Armamenti, comporta il pagamento di una penale. E il prezzo della multa sarebbe maggiore della fattura d’acquisto dei veivoli. Almeno così ha ripetuto più volte il mini stro giustificando la sua scelta. Si va avanti, quindi, perché il ritiro dal programma, capeggiato dagli Stati Uniti e sottoscritto da altri 8 Paesi, farebbe uscire dalle casse dello Stato molto di più di quanto già speso e stanziato per la fase di sviluppo e pre-industrializzazione. Ma un’inchiesta del mensile Altreconomia 2 smentisce. Così, la protesta del fronte dei “no”, 3 costituito da partiti politici, mondo cattolico e pacifisti, ora monta anche sui social media. E l’opinione pubblica prende forma su Twitter, dove il tema è tra i “trending topic” del giorno, e su gruppi di discussione su Facebook. Da mesi la Rete italiana per il disarmo ha messo online un appello contro l’acquisto dei nuovi caccia, oggi rilanciato sul web.
L’inchiesta. Dall’analisi del “Memorandum of Understanding”, il documento che sancisce l’accordo tra paesi compartecipanti, firmato dall’Italia nel 2007 sotto il governo Prodi, emerge che qualsiasi Stato partecipante può ritirarsi dall’accordo con un preavviso scritto di 90 giorni da notificare poi agli altri Stati. Ma non si parla di multe: il Paese che decide di lasciare il Consorzio dovrà soltanto continuare a fornire il proprio sostegno finanziario e operativo fino alla data effettiva di ritiro. Non sono contemplati nemmeno i costi di chiusura della linea produttiva dei veivoli. Tenuto conto, poi, del principio della distribuzione degli oneri tra i partecipanti, si stima che per l’Italia la spesa massima totale del ritir o al programma militare possa ammontare a 904 milioni. Molto meno quindi della spesa prevista. Inoltre, il costo delle fasi già attuate costano al contribuente già 2,7 miliardi di euro. Con l’acquisto degli aerei, nota lo studio di Altraeconomia, la cifra è ovviamente destinata a lievitare.
La perplessità dei Paesi. L’Italia non sarebbe la prima a fare un passo indietro. Norvegia, Canada, Australia e Turchia hanno già fatto da apripista. Di recente, infatti, questi Stati hanno messo in discussione la loro partecipazione al programma, arrivando in qualche caso ad una sospensione. Persino il Pentagono ha espresso grande preoccupazione sul suo proseguimento: 4 troppi problemi tecnici, ritardi e costi crescenti del progetto.
I costi. L’Italia dovrebbe iniziare ad acquistare i primi quattro aerei quest’anno. Gli altri, entro il 2023. La spesa totale prevista è di 13 miliardi di euro. Una cifra che era stata stanziata già dall’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Ma le più recenti stime basate sui dati del Pentagono – secondo il mensile – proiettano il costo finale di ciascun veivolo a più del doppio dell’ipotesi iniziale. Questo significa che per l’Italia la spesa potrebbe ammontare almeno a 15 miliardi di euro considerando che per i progetti aeronautici, i costi maggiori si hanno proprio per il mantenimento e la gestione dei mezzi aerei. I veivoli dovranno essere consegnati due anni dopo la firma del contratto d’acquisto. In termini monetari, ciò si traduce in un costo annuo medio per l’Italia  di 1.250 milioni. Dal 2012 al 2023, infatti, la spesa va dai 460 ai 1.495 milioni di euro all’anno.&n bsp;    
Stime occupazionali e industria. Le parti sociali sostengono che siano 200 i posti di lavoro creati nella struttura Faco di Cameri, invece, il Ministero della Difesa ne conta 600. Una cifra nettamente inferiore rispetto a quella dei proclami di politici e manager che ne vantavano 10 mila. Alla fine del’inchiesta viene avanzata una proposta: spostare un miliardo di dollari dalla Difesa al comparto delle energie rinnovabili. Aumenterebe del 50% il tasso di occupazione, addirittura si arriverebbe al 70% se reinvestiti in ambito sanitario.
Da una parte ci sono i “buoni” pacifisti. Dall’altra i “buoni” americani. Troppa bontà ci da fastidio.

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