giovedì 18 Luglio 2024

Trent’anni di eccezionalità

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Il 7 aprile 1979 veniva inaugurata una fase della repressione politica all’ombra del consociativismo

Il sette aprile del 1979 da Padova scattavano i mandati di cattura per “insurrezione contro i poteri dello Stato” contro la struttura del gruppo di sinistra radicale Autonomia Operaia. Quell’accusa aveva solo un illustre precedente in Italia: era stata mossa a Mussolini quando aveva cercato di opporsi alla guerra in Libia. Il blitz fu rapido e sommario. Il teorema–Calogero, dal nome del giudice accusatore, attribuiva senza particolari ragioni ad Aut. Op. un ruolo di fiancheggiamento delle Brigate Rosse in un progetto eversivo articolato e pianificato nel quale ognuno svolgeva un compito ben preciso. Era l’adattamento a sinistra delle fantasie inquisitorie che ripetutamente si erano manifestate contro la destra radicale, da Ordine Nuovo ad Avanguardia Nazionale, e che del resto erano ancora in piedi, in particolare per opera di quel giudice Mario Amato che un anno dopo sarebbe stato ucciso dai Nar in reazione alla foga persecutoria dimostrata contro chi passava per le sue mani.

Il sette aprile, insomma, non era un inizio e neppure una fine, cionondimeno fu una data storica per diverse ragioni.

In primo luogo perché per la prima volta dopo trentaquattro anni di dopoguerra, si verificò una repressione organica a sinistra, a prescindere dalle responsabilità individuali. Quella che era una prassi ricorrente nello spicchio al di fuori dell’arco costituzionale venne insomma allargata e sistematizzata. Il che, ovviamente, procurò anche reazioni indignate essendo la sinistra radicale ancora legata, per effetto domino, in uno schema di cerchi concentrici, a tutto l’apparato culturale, politico e mediatico del momento. Una reazione da non sottovalutare perché sarebbe stata fondamentale nella risposta negativa francese ai mandati di cattura internazionale italiani.

La seconda peculiarità del sette aprile sta nel fatto che sistematizzava una logica persecutoria che non teneva conto delle garanzie degli imputati e si avvaleva delle “aggravanti terroristiche”: un mostro giuridico che stabiliva l’assoluta iniquità di trattamenti a parità di reati (meglio rapinare per lucro che per ideale, meglio violentare un bambino che malmenare un avversario ecc) e che venne logicamente rigattato da quasi tutte le corti europee, meno flessibili agli umori politici e mediatici, in quanto a serietà del Diritto.

Conseguenza di quest’eccezione (ergo di queste leggi eccezionali) fu il rifiuto ipocrita di considerarla eccezione. Sicché le aggravanti per terrorismo applicate a qualsiasi capo d’imputazione (di sangue sì ma anche ideologico, o per la detenzione di documenti falsi) non sarebbero mai più venute a cadere malgrado la domanda esplicita di quegli stessi che, come Cossiga, ne avevano suggerito l’introduzione per urgenti ragioni di polizia. Tuttavia, in una strabiliante ipocrisia connaturata ad alcune culture che hanno condiviso per secoli il nostro territorio, si cercò di sopperire a questa mostruosità con l’inserimento di benefici di legge per i detenuti. I quali, a loro volta, acuirono l’ingiustizia, perché i detenuti politici vennero classificati in sette livelli diversi – dal basso in alto a seconda del grado di poca dignità o di giuste conoscenze – tanto che gente senza reati di sangue si trovò a scontare decenni interi dietro le sbarre mentre pluriomicidi se la cavarono con molto meno. Alcuni casi di tortura effettivamente ci furono (di sicuro Di Lenardo e Pifano) benché non all’ordine del giorno, così come ci furono esecuzioni sommarie in carcere e fuori in perfetta par condicio per rossi e neri.

Con l’andare del tempo il mostro giuridico della repressione politica partita il sette aprile del 1979 e continuata senza interruzione per quattro anni, non fece che partorire altri mostri inducendo così i tirbunali di quasi tutti i Paesi (Francia, Inghilterra, Austria, Svizzera, Brasile) a rigettare le domande di estradizione mosse dall’Italia.

Intanto, sulle vele dell’unità antiterroristica, in Italia a partire da quella data si solidificava il consociativismo corrotto e corruttore mentre la politica estera mediterranea, l’unico elemento di relativa indipendenza che ci era rimasto dopo il 1945, veniva dismessa malgrado gli orgogliosi tentativi opposti di Bettino Craxi che, non a caso, si era opposto anche alla stagione della repressione politica.

 

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