venerdì 19 Luglio 2024

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Il petrolio sembra ormai non avere più freni. La caduta di ieri ha segnato un’ulteriore accelerazione nella discesa dei prezzi, già diminuiti di quasi un terzo rispetto a giugno. Il Brent, che mercoledì sera aveva sfondato la soglia degli 80 dollari al barile, ha perso oltre il 3% arrivando a toccare quota 77,83 $. Ancora più accentuato, quasi il 4%, il ribasso del Wti che scendendo a 74,07 $ ha eguagliato il primato negativo del greggio europeo: entrambi i riferimenti sono ora a livelli di prezzo che non si vedevano da settembre 2010.

Nulla sembra più riuscire ad arginare le vendite, nemmeno le statistiche sulle scorte Usa, che di solito riescono a smuovere, almento temporanemente, il mercato. Volendo, stavolta avrebbero potuto offrire spunti ribassisti: gli stock di greggio sono calati di 1,7 milioni di barili, quelli di distillati, preziosi d’inverno, di 2,8 mb. Niente da fare.

Dagli Stati Uniti sono d’altra parte arrivati ben altri dati: per la prima volta da oltre trent’anni la produzione di greggio ha varcato la soglia dei 9 milioni di barili al giorno la settimana scorsa. Per la precisione sono stati 9,06 mbg, sgorgati in gran parte dai giacimenti di shale oil, dove si continua a trivellare senza sosta, nonostante la caduta dei prezzi e nonostante le prime tensioni sul credito dei “frackers”, indebitati al punto da richiamare paragoni con le start-up della bolla di Internet dello scorso decennio.

L’Arabia Saudita – ormai identificata a torto o a ragione come l’arcirivale dello shale oil – di petrolio ne estrae ogni giorno appena 500mila barili in più. Ma non basta. Gli Usa si stanno anche espandendo sui mercati esteri: l’export di greggio resta vietato, ma quello di condensati sottoposti a leggere lavorazioni «diventerà presto la norma» secondo Jacob Dweck, l’avvocato che strappando un permesso per Enterprise Products Partners è riuscito ad aprire la strada a questo tipo di esportazioni.

All’interno dell’Opec l’allarme sta comprensibilmente crescendo ogni giorno di più: il petrolio sotto 80 dollari mette in crisi i bilanci statali di quasi tutti i suoi membri e per alcuni l’esito rischia di essere catastrofico. Qualcosa si sta però muovendo. In vista del vertice dell’Organizzazione, che si terrà tra due settimane a Vienna, si è messo in moto un vortice di incontri diplomatici, che sta coinvolgendo anche paesi produttori esterni all’Opec.

Tra questi il Messico, che ha riferito di un faccia a faccia tra il il suo ministro dell’Energia Pedro Joaquin Coldwell e il potente ministro del Petrolio saudita Ali al-Naimi: «colloqui privati» durante i quali i due «hanno concordato sul bisogno di intraprendere tutti gli sforzi necessari per stabilizzare i mercati petroliferi internazionali».

Intanto in Arabia Saudita il re Abdullah ha ricevuto il premier libico e quello quello iracheno. E lo stesso al-Naimi, prima di andare in Messico, aveva incontrato in Venezuela il ministro Rafaél Ramirez, uno dei più strenui sostenitori della necessità di tagliare la produzione di greggio per rilanciare i prezzi. Caracas sostiene di aver predisposto con l’Ecuador un piano da sottoporre ai “colleghi” dell’Opec e Ramirez, che è appena stato in Algeria, ha annunciato che proseguirà gli incontri con «molti altri» produttori, Opec e non Opec, tra cui il Qatar, l’Iran e anche la Russia.

 

 

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