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Liberi tutti PDF Stampa E-mail
Scritto da repubblica.it   
Martedì 01 Giugno 2004 01:00

La legge Bossi-Fini si rivela un il flop clamoroso. Tutti liberi i clandestini arrestati. Per una mostruosità burocratica, i poliziotti non possono fare altro che arrestare e i magistrati non possono fare altro che liberare.

MILANO - Fax che vengono, fax che vanno. Fax che si incrociano nella notte italiana e che raccontano il surreale fallimento di una legge che non poteva fare altro che fallire. Un fallimento decretato dalle centinaia di fax con cui poliziotti, carabinieri, vigili urbani annunciano alla magistratura l'arresto centinaia di stranieri. E che la magistratura mette in libertà la sera stessa o, al più tardi, la mattina dopo. L'aspetto surreale è che i poliziotti non possono fare altro che arrestare, e i magistrati non possono fare altro che liberare. Ognuno fa il suo dovere. Il risultato è una montagna di carta sprecata, una montagna di soldi buttati via, un gorgo che intasa commissariati e aule di tribunale. Arricchisce le statistiche delle forze dell'ordine e le tasche di qualche avvocato. Ma non cambia di una virgola la realtà. La fa semplicemente più assurda.

A dirlo non sono le toghe rosse di Magistratura democratica. Sono i pubblici ministeri che, in ogni luogo d'Italia, passano le lunghe ore del turno esterno a smistare le carte inutili di questo nuovo reato.
Il nuovo reato sta all'articolo 13 della legge 189 del 2002, meglio conosciuta come legge Bossi-Fini. È la legge che, mantenendo una delle promesse elettorali sia della Lega che di An, doveva dare una sterzata rigorosa alle norme sull'immigrazione volute dai governi dell'Ulivo. Di quella sterzata, l'articolo 13 costituiva uno dei cavali di battaglia. "Lo straniero espulso che viene trovato nel territorio dello Stato è punito con la reclusione da uno a quattro anni". E poi, subito dopo: "È obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto e si procede con rito direttissimo".


Letto così, quando la legge venne varata, faceva impressione. Si immaginavano migliaia di stranieri, renitenti all'ordine di espulsione, venire arrestati, processati, incarcerati. Per una parte degli italiani era uno sogno che si realizzava. Per una parte era un incubo o quantomeno una visione sgradevole. Beh, non è arrivato niente di tutto questo. È arrivata solo una catastrofe poliziesca, burocratica e giudiziaria che intasa inutilmente l'apparato repressivo dello Stato. In tutte le maggiori città del paese, in un giorno qualunque, più della metà del lavoro di Volanti, gazzelle e pubblici ministeri è dedicato a questa gigantesca finzione di repressione.

Ecco come vanno, nella realtà, le cose. La pattuglia dei carabinieri ferma uno straniero per un controllo. Lo identifica - dal passaporto o dalle impronte - e scopre che è già stato espulso dall'Italia, e non ha obbedito all'ordine. Scatta l'arresto, obbligatorio e immediato. Dalla centrale operativa, viene avvisato il pm di turno. A quel punto, i casi sono due. Alcuni pm ordinano immediatamente di rilasciare il fermato, ritenendo illegittimo il fermo. Altri - e sono, a occhio, la maggioranza - autorizzano il fermo, e ordinano di portare in aula la mattina dopo il renitente all'espulsione per il processo per direttissima. E la mattina dopo, in aula, dopo una notte in guardina, lo straniero viene liberato per ordine del magistrato. Per i motivi più vari: perché viene assolto, perché il processo viene rinviato di qualche giorno, perché patteggia una pena di un paio di mesi con la condizionale. La sostanza non cambia.

L'unica cosa certa è che il fermato non può finire in carcere, perché ha commesso non un delitto ma una contravvenzione, e

 
Aldo Braccio, La globalizzazione linguistica PDF Stampa E-mail
Scritto da Edizioni all'Insegna del Veltro   
Lunedì 31 Maggio 2004 01:00

La globalizzazione, con i suoi imperativi, le sue sfide, il suo futuro, assorbe ogni discorso dei massmedia sui processi e le tendenze del mondo contemporaneo. Il suo carattere precipuo sembra essere quello dell’ineluttabilità : una visione deterministica prefigura un assetto finale inevitabile, certo, progressivo e sostanzialmente benefico, sia sul piano culturale-formativo che su quello economico.

Il dominio esplicito di un linguaggio unico, sovrapponibile alle lingue locali e nazionali, si integra perfettamente nell’ottica mondialista e globalizzatrice : tale “sistema funzionale”, contrabbandato anch’esso come ineluttabile, vede oggi nella lingua inglese – opportunamente imbastardita e “semplificata” – lo strumento sovrano della comunicazione e dell’espressione mondialista.

“E’ delirante – ammoniva Claude Autant-Lara, il grande regista cinematografico e deputato europeo (per il Front National) nel discorso di apertura tenuto al Parlamento di Strasburgo nel luglio 1989 – che , nell’Europa che ci preparate , consideriate per tacito accordo una sola lingua- divenuta corrente – l’inglese”; e sottolineava – davanti a quell’uditorio perlopiù di rassegnati e di pavidi – che quella lingua finiva col frantumare e distruggere i gioielli nazionali, le culture originarie.

In effetti, l’incapacità “moderna” di sostenere e rispettare la diversità si traduce in un duplice attacco alla ricchezza e fecondità dei linguaggi nazionali :una consapevole azione di controllo e di ridimensionamento delle identità culturali operata dal mondo americano/statunitense (a dimostrazione che, oggi, non vi è mondialismo senza U.S.A. e viceversa) accompagnata da una diffusione crescente dell’inglese in quanto elemento centrale della tecnica/tecnologia moderna – si manifesta in entrambi gli aspetti la tendenza alla pianificazione e alla neutralizzazione del linguaggio e della cultura.

“La principale arma culturale impiegata dall’Occidente nel suo attacco contro l’Europa è l’influenza linguistica esercitata dall’inglese” (1), sostiene non senza ragioni Claudio Mutti.

Ma premettiamo alcune considerazioni di carattere generale.

Il problema della lingua è, per sua natura, inscindibile dal problema della comunità nazionale

Vero è che il fattore “tempo” influenza

 
Intervista sull'americanismo PDF Stampa E-mail
Scritto da Marco Tarchi   
Lunedì 31 Maggio 2004 01:00

Esame e critica della malattia che da sessant'anni affligge l'Europa: il male americano.

Nel suo ultimo libro, "Contro l'americanismo", lei parla, in termini critici di imperialismo americano. Come possiamo definire tale fenomeno?

Mi pare che si definisca abbondantemente da solo. E' un progetto egemonico su scala planetaria che si avvale di una straordinaria superiorità militare e di un atteggiamento remissivo e conformista che affonda le radici nei complessi di inferiorità che molti dei potenziali concorrenti degli Usa hanno maturato in epoche più (1989) o meno (1945) recenti della storia. Ad alimentare questo progetto sono vari ingredienti miscelati: ambizioni geopolitiche, appetiti economici, timori di dover pagare prima o poi il prezzo di scelte fatte in passato, che hanno reso gli Usa largamente impopolari in molti paesi.



Pur criticando la politica estera del Governo americano, tuttavia, lei si tiene alla larga da qualsiasi atto d'accusa spregiudicato al modello americano: la sua è una testimonianza esemplare di come si possa essere contrari all'americanismo senza essere antiamericani?

Quel che mi propongo, pubblicando il mio libro, è di far riflettere sulle conseguenze di un cieco allineamento alle politiche degli Usa e di un'acritica adesione alle premesse culturali che ne sono alla base. Che poi l'american way of life non goda delle mie preferenze, è un altro discorso. Sono un fautore del diritto di ciascun popolo a determinare autonomamente il proprio modello di società: se gli statunitensi sono contenti del loro, se lo tengano. Purché non tentino, come fanno da decenni con la complicità dei loro fans d'oltreoceano, di farne un modello obbligatorio anche per gli altri paesi.

Riflettendo sulle recenti scelte di politica estera dell'amministrazione Bush, ritiene che se ci fosse stato un altro presidente tante decisioni non sarebbero state prese oppure considera che qualsiasi esecutivo a stelle strisce dopo l'11 Settembre 2001 avrebbe agito allo stesso modo?

Spaziare nel mondo delle ipotesi è gradevole ma non troppo serio scientificamente. Posso solo dire che l'attuale politica statunitense non mi pare guidata solo o soprattutto dalla personalità di Bush. Essa risponde ad imperativi e interessi politici ed economici che fanno capo a molti altri soggetti. Se un Gore avrebbe saputo e voluto tenervi testa, o più realisticamente accontentarli in altro modo, non posso ipotizzarlo con certezza.

Se guardiamo al mondo intellettuale nostrano, ci si può rendere conto che si sta vivendo un buio periodo di stagnazione dell'indagine scientifica in tema di problematiche politiche e sociali, per lo più segnato da una generale adesione alle scelte dello Stato americano al di fuori dei propri confini nazionali, che, a volte, raggiunge livelli di grottesca cecità innanzi ad evidentissimi errori commessi dall'amministrazione statunitense. Che cosa ne pensa di tale atteggiamento?

Che è ispirato dal conformismo, una indolore eppure grave malattia dello spirito, in ogni epoca molto diffusa e oggi alimentata dall'azione dei mezzi di comunicazione di massa, a cui è imputabile la presa del "pensiero unico" oggi dominante.

Inoltre, è evidente come sia molto difficile, oggigiorno, riuscire a divulgare attraverso i grandi mezzi mass mediatici idee anticonformiste senza finire per essere tacciati, in ogni caso, per degli antiamericani. Avverte anche lei tale situazione?

Dalla mia precedente risposta risulterà evidente che la avverto. L'accusa di antiamericanismo è un pretesto per delegittimare i dissenzienti. A cui si consente una sola alternativa: subire la gogna o essere sepolti dal silenzio.

Da politologo considera i maggiori partiti dei due più importanti schieramenti della politica italiana privi di qualsiasi volontà di critica nei confronti della politica estera americana in una sorta di compiacimento, più o meno, tacito per il dilagare dello stesso imperialismo s

 
...E Repubblica inventò l'antiamericanismo filoamericano PDF Stampa E-mail
Scritto da repubblica.it   
Lunedì 31 Maggio 2004 01:00

Ovvero quando l'ipocrisia si fa delirio. In questo articolo Vittorio Zucconi ci spiega che va bene essere contro Bush, ma guai a toccare l'impero del bene, già "liberatore" d'Europa sessant'anni fa. Se lo dicono loro...

C'è una formula standard, quasi la giaculatoria di un esorcista, che il presidente Bush ripete ogni volta che esce (raramente) dal guscio americano per infilarsi nelle catacombe delle sue visite fortificate e deve confrontare, a distanza di sicurezza, manifestazioni di protesta: "Sono lieto di trovarmi in una nazione dove alla gente è possibile esprimere liberamente le opinioni". Lo disse anche a Londra, sbarcando nel novembre scorso, mentre la sua effige veniva bruciata in Trafalgar Square. Bravo George.

Frase sacrosanta che anche noi Italiani dovremmo ricordare al suo arrivo a Roma. Manifestare civilmente, magari rumorosamente, mai violentemente come vorrebbero i provocatori mascherati che, forse senza neppure capirlo, lavorano "per il Re di Prussia", il proprio dissenso contro il capo della repubblica americana in carica non soltanto è perfettamente legittimo e costituzionale anche in Italia. E' il modo più incontestabile per confermare che il sacrificio dei GI's', dei soldati caduti al passo di Kasserine, a Salerno, ad Anzio, a Nettuno, a Cassino, a Omaha Beach, non è stato, come dice il solito aggettivo della retorica ufficiale, "vano". Protestare liberamente e non violentemente contro un presidente americano, chiunque sia, è la forma più sincera e autentica di essere nei fatti filo americani, come ci dice lo stesso Bush. Significa stare dalla parte di quelle libertà che 60 anni or sono furono riconquistate per noi, e con noi, in Europa, prima fra tutte la libertà di non essere d'accordo e di dirlo pubblicamente. I caduti di Normandia e di Anzio sono morti, come gli ormai quasi mille uccisi in Iraq, perché i cittadini delle nazioni liberate potessero criticare e dissentire.

Chi vorrà marciare in ordine per le strade o appendere bandiere pacifiste alle finestre e magari anche migliaia di tricolori, per testimoniare il nostro orgoglio nazionale contrapposto all'internazionalismo servile degli aspiranti Neo-Com, i fautori di un nuovo Cominform tradotto a destra, non sarà necessariamente più "giusto" di chi invece ammira Bush e ne sposa in buona fede le decisioni, perché sentirsi dalla parte del Bene, della Giustizia, della Libertà sarebbe cadere nella trappoletta manichea del "chi non è con noi è contro di noi", che è la negazione implicita della libertà. Chi protesterà contro la guerra di George senza trasformare la protesta in una versione borgatara della guerra, avrà ragione certamente, e soltanto, nel desiderio di strappare il "filo americanismo", l'ammirazione e la gratitudine per gli Usa, al rapimento che di questi sentimenti hanno fatto i manipolatori di casa nostra, coloro che hanno agganciato la carretta degli interessi di casa alla carovana americana, spacciando un filo americanismo da ufficio stampa per fedeltà a valori dell'Occidente, che vengono poi disattesi nella pratica quotidiana di governo.

Il "valore" massimo del cosiddetto Occidente, il premio stupendo che i caduti americani del 1944 e 45 hanno difeso per loro stessi e restituito a noi, non è il "credere, obbedire, combattere", è il diritto alla critica, al dissenso, all'opposizione ed è possedere gli strumenti legali e civili per manifestarlo. E' libertà dal ricatto morale - premessa di ricatti politici e poi di repressione - di considerare "saddamita" chi si oppose alla guerra, "fascista" chi si oppone al comunismo, "comunista" chi considera demente la tesi della "guerra preventiva", "antisemita" chi osa obbiettare alla politica del governo israeliano, e, nella parola "catch all", acchiappa tutto che oggi viene usata come una mazza da baseball sulla testa dei dissidenti, "terrorista", possibilmente "islamico" per chiudere ogni dibattito.

I proclami e gli attestati sperticati di assoluta fedeltà sono tributi di satelliti, non prove di appartenza al campo dei p

 
Israele: apartheid sessuale PDF Stampa E-mail
Scritto da repubblica.it   
Lunedì 31 Maggio 2004 01:00

Marciapiedi separati per uomini e donne in un rione ultraortodosso di Tel Aviv per evitare promiscuità tra i due sessi. E' la "Santa Separazione", l'ultima trovata dell' "unico stato laico del medio-oriente".

TEL AVIV - Gli uomini da una parte della strada, le donne sull'altra. Questa la soluzione escogitata da un gruppo di zeloti nel sobborgo ultraortodosso di Bené Braq, a Tel Aviv, per lottare contro la promiscuità fra i due sessi.

Fra gli ultraortodossi, la separazione fra i sessi inizia fin dalla più tenera età ed è ritenuta necessaria per mantenere la "santità" della congregazione. Non solo nei riti religiosi, ma anche nei ricevimenti uomini e donne restano rigidamente separati.

Da alcuni giorni però una nuova iniziativa è entrata in vigore nel rione Wishnitz dove sono stati appesi vistosi cartelli che fanno presente ai timorati che d'ora in poi nel vicolo intestato al Rabbino di Woyshwa sarà necessario separare il flusso dei pedoni: gli uomini da un lato, le donne dall'altro. In questo modo non si correrà più il pericolo che essi si sfiorino, anche inavvertitamente. La misura, viene precisato, riguarda anche i bambini.

Per ora, l'iniziativa definita "Santa Separazione" sarà imposta solo durante il sabato e nei giorni festivi: quando cioè il vicolo è affollato in modo particolare, cosa che rende quasi impossibile evitare un contatto fisico fra i passanti.

Dell'avvento dei marciapiedi divisi hanno dato notizia con grande evidenza il quotidiano Maariv e diverse stazioni radio. Ma a Bené Braq si fa notare che tutti gli abitanti della zona sono membri del Cortile rabbinico dei Wishnitz: tutti obbediscono disciplinatamente ai medesimi rabbini, nessuno finora ha osato obiettare al provvedimento.

Eppure la notizia ha già scatenato osservazioni beffarde negli ambienti laici israeliani. Anche perché il provvedimento - se si estendesse all'intero sobborgo di Bené Braq - si scontrerebbe in maniera vistosa con il funzionamento degli autobus per timorati. Si tratta di automezzi nei quali per uomini e donne vi sono ingressi separati, ma entrambi sullo stesso lato. Alla fermata necessariamente metà dei passeggeri non potrebbero scendere a terra.


Da parte loro i laici israeliani non finiscono di stupirsi di questa "ossessione". Rilevano che fra i timorati le mura della "Santa Separazione" non fanno che elevarsi e prevedono che dopo gli autobus segregati e i marciapiedi divisi i rabbini più estremisti sapranno certo inventare nuovi e sorprendenti divieti.

 
LO SPETTRO DI HAIDER SI AGGIRA PER LA CARINZIA PDF Stampa E-mail
Scritto da Noreorter.org   
Domenica 30 Maggio 2004 01:00

A dispetto delle previsioni, le elezioni austriache regionali hanno sancito il prepotente ritorno di Haider sulla scena politica. Forte del suo feudo elettorale in Carinzia, Haider ha rilanciato la sua linea politica basata su un collaudato mix di carisma e populismo e non nasconde il suo reale obiettivo: la cancelleria di Vienna.

L’inizio dell’alleanza di governo fra i conservatori dell’OVP e l’estrema destra dell’ FPO risale al 2000, quando l’invito rivolto ad Haider da parte del Cancelliere Schussel di entrare a far parte del governo assieme al maggior partito conservatore dell’ OVP portò l’Austria in una fase di isolamento politico-diplomatico senza precedenti dalla fine del Secondo Conflitto Mondiale. Il successivo tentativo da parte del Partito della Libertà di Haider di far cadere lo stesso governo Schussel nel 2002 aveva portato alle elezioni anticipate e alla severa punizione dell’elettorato nei confronti del governatore della Carinzia.

La strategia di Haider aveva a quel punto subito una drastica modifica. Un inedito basso profilo, e la limitazione di esternazioni ad effetto aveva permesso ad Haider di rimanere nel ruolo di junior partner nella coalizione di governo.

La legislatura non aveva subito da allora grossi scossoni, fino alle elezioni presidenziali di fine aprile e quelle regionali di fine marzo. Sconfitti alle presidenziali con l'elezione del socialdemocratico Fischer e convinti probabilmente di fagocitare l’elettorato di Haider, i conservatori si sono apertamente schierati in Carinzia contro il governatore uscente, ricevendone una severa lezione. L’OVP ha ottenuto solo l’11,6% dei consensi, a dispetto del 20.7 ottenuto nel 1997, mentre i risultati del FPO di Haider e dei socialdemocratici sono stati lusinghieri, con rispettivamente il 42 e il 38 % dei consensi.

Nonostante a livello regionale i due alleati di governo si siano battuti senza esclusione di colpi il sodalizio a livello nazionale non sembra essere in pericolo, almeno nel breve periodo.

La prospettiva che il leader della Carinzia possa riaffacciarsi con tutta la sua ingombrante personalità sulla scena politica europea ha messo in allarme la diplomazia di tutta Europa, che ha mandato chiari segnali a Vienna con l’intento di premere sul governo Schlussel per un deciso cambio di rotta. Continuano infatti ad avere ampio risalto, specie sui giornali britannici, le sue dichiarazioni che equiparavano Bush a Saddam, o le sue esternazioni sull’efficacia della politiche del lavoro nazista.

 
L'ex arcivescovo di Boston sarà arciprete a Santa Maria Maggiore PDF Stampa E-mail
Scritto da Noeporter.org   
Domenica 30 Maggio 2004 01:00

Incarico a Roma per il cardinale Law Fu travolto dal caso dei preti pedofili

A sorpresa di tutti, il cardinale Bernard Law, ex arcivescovo di Boston, costretto alle dimissioni dallo scandalo dei preti pedofili, è stato nominato ieri arciprete della basilica romana di Santa Maria Maggiore.

Un incarico più d'onore che altro, con cui il Papa assicura uno stipendio al tribolato personaggio, salvandone insieme l'immagine, a compenso del «sacrificio» delle dimissioni.

Era il 13 dicembre del 2002 cioè un anno e mezzo addietro - quando quel cardinale, già esponente autorevole dell'episcopato cattolico statunitense, decise di lasciare il suo incarico, durante un colloquio a quattr'occhi con Giovanni Paolo II.n Papa apprezzò il gesto, che permise la nomina di un successore estraneo alla vicenda il francescano Sean Patricl!: Q'Malley - che dunque non avrebbe potuto essere «citato in giudizio» dagli avvocati dei 450 «querelanti» per «molestie sessuali», di cui erano accusati decine di preti della grande arcidiocesi (conta due milioni di cattolici e 1. 600 preti) .

C'era anche un'esigenza giudiziaria, a premere: le richieste di risarcimento> avanzate dai querelanti, superavano i cento milioni di dollari e minacciavano di portare al fallimento la ricca arcidiocesi.Quello scandalo a sfondo pedofilo-sessuale (spesso le «vittime»erano adolescenti e qualche volta giovani adulti) stava dilagando sui media statunitensi e aveva già costretto alle dimissioni tre vescovi, nell'insieme del paese.

Law fu la vittima più illustre. Il cardinale era accusato di essere stato «debole» con i preti «pedofili», di averli spostati da una parrocchia all'altra pet coprite i loro crimini e di essersi preoccupato più di loro che dei bambini e ragazzi che ne erano stati vittime.

Va riconosciuto a La.w d'essere uscito dignitosamente di scena: ammiSe gli «errori» e annunciò un lungo «ritiro» in unmonastero: «Chiedo perdono a tutti coloro che hanno sofferto per lemie insufficienze e i miei errori».

Arciprete di Santa Maria Maggiore era fino a ieri il cardinale Carlo Furno e prima di lui il cardinale Ugo Poletti: cioè dei pensionati di Curia. A tale ruolo arriva, a 72 anni, un penSionato speciale, che proviene dalla periferia invece che dal centro.

Bernard Law Si dimise dall'incarico dopo un colloquio con Giovanni

Paolo II.

 
l Qayda, 52esima stella degli Stati Uniti brilla anche a Cannes PDF Stampa E-mail
Scritto da Noreporter.org   
Domenica 30 Maggio 2004 01:00

MICHAEL MOORE È IN POSSESSO DI UN'INTERVISTA CON NICK BERG, IL PRIGIONIERO AMERICANO DECAPITATO - POCHISSIMI I DETTAGLI: "NE STIAMO PARLANDO CON LA FAMIGLIA"

Michael Moore il regista premio Oscar con ³Bowling For Columbine e fresco vincitore della Palma d¹Oro a Cannes con Fahreneit 9/11, ha dichiarato all¹Associated Press di essere in possesso di un video di venti minuti con un intervista al prigioniero americano decapitato dai miliziani iracheni Nick Berg.
Moore ha immediatamente chiarito che non intende rendere pubblico il materiale, che non è chiaro se facesse parte del girato non utilizzato per Fahreneit, o se abbia una diversa origine. Non è nel film ­ ha detto ­ ne stiamo parlando in private con I familiari.
Nessuna informazione neanche sulla natura delle dichiarazioni di Berg, né la ragione per la quale lo sfortunato 26enne sia stato intervistato.
Si attendono sviluppi
Dagospia 28 Maggio 2004
 
Costo benzina e' cresciuto del 15% in un anno PDF Stampa E-mail
Scritto da Ansa   
Domenica 30 Maggio 2004 01:00

Il prezzo della benzina e' cresciuto in un anno quasi del 15%, oltre 6 volte di piu' della crescita del costo della vita.

La differenza di prezzo con la vigilia delle vacanze estive di un anno fa e' di circa 0,120 euro al litro. In altri termini, oggi fare un pieno di benzina costa almeno 6 euro in piu' rispetto ad un anno fa. Si risparmia sul pieno di gasolio o benzina, invece, in Grecia o Spagna, che restano i Paesi dove il carburante ha il miglior prezzo in Europa.
 
Indoeuropei, le nostre radici PDF Stampa E-mail
Scritto da Alberto Lombardo   
Sabato 29 Maggio 2004 01:00

Radici giudaico(?)cristiane? Illuminismo? Umanesimo? L'Europa sembra cercare le proprie radici in modo sempre più sconclusionato, dimenticando la vera eredità comune che ci fa essere un solo popolo da Brest a Vladivostok.

Di recente, sull'onda di circostanze emblematiche quali l'estensione dell'Unione Europea a diversi Stati dell'area orientale, si è fatto un gran parlare di radici culturali e spirituali dell'Europa. Moltissime voci autorevoli sono intervenute nel dibattito, sottolineando diverse "cifre" comuni della storia e della forma mentis europea (grecità, cristianesimo, umanesimo, attitudine scientifica etc.). Quasi nessuno, però, ha portato lo sguardo verso le origini comuni. Molti ancora muovono dall'idea, non errata ma insufficiente, che diversi popoli ed etnie abbiano forgiato altrettante comunità e nazioni europee, distinte nelle lingue e nelle tradizioni, che ebbero semplicemente la ventura di vivere in terre confinanti, e che pertanto svilupparono una serie di contatti commerciali, culturali e storici di vario genere, dando così forma e origine alla moderna Europa.

È necessario aprire lo sguardo a orizzonti più vasti e lontani, verso un passato più risalente ma non per questo a noi meno vicino. Celti, Germani, Romani, Veneti, Greci, Albanesi, Slavi e Baltici sono popoli che si formarono in seguito a più diaspore di un'ampia comunità: un popolo unitario, che aveva una medesima lingua, (poi differenziatasi in dialetti, divenuti lingue), una medesima organizzazione sociale e politica, un medesimo sentimento del mondo e del sacro. Gli Indoeuropei, come li chiamiamo oggi, sono i nostri antichi progenitori comuni.

Di origine indoeuropea sono la stragrande maggioranza delle lingue oggi parlate in Europa (le eccezioni sono il basco e le lingue ugrofinniche, di cui in Europa sopravvivono l'ungherese e il finlandese, che pure hanno assorbito molti termini indoeuropei), così come nel resto del mondo: si calcola che su circa il 90% delle terre emerse si parlino lingue indoeuropee. Il motivo di questa diffusione è probabilmente duplice: vi è una ragione esterna, cioè la vocazione storica alla conquista dei popoli indoeuropei, che imposero via via i loro linguaggi; e una interna, da ricercarsi nella pregevole adattabilità ed "esportabilità" dei modelli linguistici indoeuropei: come è stato, in passato, per il latino o lo spagnolo, così avviene oggi con l'inglese.

Le grandi migrazioni iniziano tra il quarto e il terzo millennio a.C., dopo la definitiva scomparsa dell'ultimo periodo glaciale. Ampie comunità di cacciatori, nuovamente coagulate, iniziano a sciamare da una vasta area nordica che, secondo l'interpretazione più verosimile, si estendeva nello spazio compreso tra la Scania, le rive meridionali e orientali del Baltico e le propaggini occidentali delle steppe caucasiche. Presto nasceranno la civiltà indiana e quella persiana: allo stesso modo le asce e il carro da guerra segneranno l'arrivo degli Indoeuropei in Anatolia, così come nel bacino del Tarim e nella regione dello Xinjiang, in Cina, si stabilirà la popolazione dei Tocari.

Ovunque l'arrivo degli Indoeuropei sovverte l'organizzazione sociale precedente, imponendo un nuovo modello. Sorgono arroccamenti, castellari, città-stato; si impone il rito della cremazione; le strutture urbane, così come gli oggetti d'uso comune, si ispirano a forme rigidamente geometriche e strutturate. D'improvviso, la venuta dei nuovi signori crea società patriarcali, guerriere e gerarchiche. Attraverso più ondate, l'Europa viene completamente indoeuropeizzata. I Celti occupano la maggior parte dell'area occidentale, migrazioni illiriche, venete e latine penetrano verso sud in Italia e nei Balcani, mentre i Germani occupano una vasta e fluida area verso il nord; le lingue si differenziano gradatamente. Ancora in epoca storica, alcuni autori classici riconosceranno negli altri popoli indoeuropei dei parenti.





Tratt
 
MINACCIA RITALIN PER BIMBI "IPER-ATTIVI". SIRCHIA NON CLASSIFICA IL FARMACO TRA GLI STUPEFACENTI PDF Stampa E-mail
Scritto da Noreporter.org   
Venerdì 28 Maggio 2004 01:00

Il Ritalin non sarà rimesso nella Tabella farmaceutica relativa alle sostanze stupefacenti e psicofarmaci, perché "significherebbe porre un ostacolo insormontabile alla definizione di qualsiasi piano terapeutico, negando, di fatto, l'accesso al farmaco da parte dei giovani pazienti per i quali sia stata formulata la diagnosi definitiva di ADHD".

Così il sottosegretario alla Salute, Antonio Guidi, ha risposto ieri a un'interrogazione parlamentare di Tiziana Valpiana, che aveva domandato di riclassificare il medicinale nella tabella più off limits del prontuario farmaceutico, per evitare che si consumino abusi su bambini considerati iperattivi.

Fra le misure precauzionali, ha spiegato Guidi, attualmente si prevede che il Ritalin abbia una prescrizione medica, da rinnovarsi ogni volta con validità di trenta giorni, obbligatoriamente trattenuta dal farmacista, il quale, inoltre, deve annotare il carico e lo scarico di ogni fornitura del farmaco sull'apposito registro. La validità prescrittiva di trenta giorni "garantisce", a giudizio del ministero, "il piccolo paziente ed i suoi familiari da richieste ripetute al medico, evitando la "ipermedicalizzazione" di una particolare situazione soggettiva che, soprattutto per l'età del paziente, presenta risvolti psicologici impegnativi, anche per il contesto familiare e scolastico".

"Il Ministero della Salute e la Commissione Unica del Farmaco hanno la piena consapevolezza dell'eventuale rischio derivante dall'uso improprio della specialità medicinale Ritalin (il cui principio attivo è il metilfenidato) e della situazione verificatasi negli Stati Uniti d'America" ha aggiunto Guidi, specificando che presso l'Istituto Superiore di Sanità è stato istituito il Registro Nazionale dei Bambini affetti da ADHD, in trattamento farmacologico con il metilfenidato.

"Mi si consenta di aggiungere che il sottoscritto, come neuropsichiatra, ha sempre contrastato terapie riabilitative e/o farmacologiche che possano dare un miglioramento immediato ma danni successivi" ha concluso Guidi, esprimendo la sua posizione sul problema. "Da medico specialista di questo settore, nella mia coscienza, ho sempre rifiutato la medicalizzazione dell'infanzia. E in questa ottica, rispetto alla sindrome ADHD, nella veste di Sottosegretario delegato alla salute mentale, ho denunciato il rischio di diagnosi improprie".

Troppo stesso, infatti, comportamenti naturali del bambino vengono stigmatizzati come malattia, ha sottolineato il sottosegretario. "Comportamenti che si manifestano sempre con maggiore frequenza ed evidenza, anche per il fatto che il bambino che vive in una realtà con qualità di vita e di ambiente sempre meno a sua misura (per vita, spazi e qualità della vita

stessa) reagisce con sbalzi di umore e iperattività che non sono da comprimere ma da comprendere, non in senso farmacologico ma in un'ottica diversa, propria della vita di relazione".

 
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