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Moore boicottato PDF Stampa E-mail
Scritto da Noreporter.org   
Venerdì 07 Maggio 2004 01:00

La Disney blocca l'uscita in sala del documentario anti-Bush Fahrenheit 9/11. Protesta la Miramax.La Disney "boicotta" Michael Moore.

La Casa di Topolino ha "proibito" alla Miramax (sua consociata) di distribuire nelle sale Fahrenheit 9/11 il nuovo ed esplosivo documentario firmato dal regista di Bowling a Columbine. Lo rivela il sito di Variety, secondo il quale dietro il "dictat" imposto dalla major alla società di Harvey Weinstein ci sarebbero motivi politici.Il film - che sarà presentato in concorso al festival di Cannes - secondo quanto rivelato dallo stesso regista, conterrebbe rivelazioni scottanti sugli avvenimenti dell'11 settembre, sul presunto legame tra la famiglia di George W. Bush e Osam Bin Laden, nonché sul modo in cui il presidente Usa avrebbe strumentalizzato la tragedia a livello internazionale. La Miramaxè già da tempo al lavoro per un lancio in grande stile del documentario, ma Fahrenheit 9/11 non figura nel listino delle uscite estive della società, benché l'arrivo in sala fosse previsto a luglio. Il portavoce della Miramax, Matthew Hiltzik, ha fatto sapere cheè attualmente allo studio una soluzione per risolvere la controversia, come affidare la distribuzione del film ad una piccola casa indipendente e lasciare alla società di Weinstein la gestione del marketing. Ma secondo Variety, la decisione avrebbe seriamente compromesso i rapporti tra Weinstein e il capo della Disney, Michael Eisner. Il precedente documentario di Moore, Bowling a Columbineè stato un successo di proporzioni straordinarie: costato soltanto 3 milioni di dollari, ne ha incassati 120 milioni e vinto un Oscar.
 
Arriva Bush, la sinistra fibrilla PDF Stampa E-mail
Scritto da Il Messaggero   
Venerdì 07 Maggio 2004 01:00

Il viaggio a Roma del presidente americano il 4 giugno divide le due anime di una sinistra in crisi. C'è chi vuole partecipare alle cerimonie e chi vuole contestare.

ROMA Arriva George Bush e l’opposizione fibrilla. Il presidente americano è atteso in Italia per il 4 giugno e con un mese di anticipo Listone e partiti anti-Listone già si dividono. «Se il governo organizzerà un appuntamento istituzionale, noi ne prenderemo atto e ci saremo», ha annunciato Francesco Rutelli. «E noi invece chiamiamo il popolo della pace a scendere in piazza», annunciano dalle parti del Pdci, ma intendimenti simili nutrono Verdi, Rifondazione, Occhetto-Di Pietro.
Della questione si è discusso a lungo durante l’ultima riunione di vertice della Lista Prodi proprio l’altro giorno, e tra le cautele del caso, non nascondendosi difficoltà e rischi, tuttavia i capi del Listone hanno convenuto che sulla visita di Bush non si può seguire la linea del ”né aderire né sabotare”, non si può adottare l’atteggiamento protestatario, ma si deve partecipare. «Dobbiamo evitare le strumentalizzazioni anti-Usa ma anche quelle del governo», ha richiamato uno. «Bisogna chiedere al governo un impegno perché la visita sia un avvenimento istituzionale, si commemori anche la Liberazione, la lotta antifascista fatta con il concorso di tutti», ha argomentato un altro. Le conclusioni cui si è giunti sono due: i leader del Listone parteciperanno alle cerimonie cui saranno invitati, o di palazzo Chigi o dell’ambasciata Usa; nello stesso tempo, il Listone sta pensando di organizzare un’iniziativa, forse un convegno, che preceda la visita del 4 giugno e che serva a far capire l’impostazione ulivista in materia. Spiega Ugo Intini dello Sdi: «Dobbiamo far capire e ribadire il concetto che si può e si deve essere alleati degli Usa senza per questo allinearsi a tutte le loro scelte, il rapporto va rinegoziato sempre». Ma a quali cerimonie potranno presenziare i leader della Lista? L’agenda di Bush è ancora top secret, sia perché manca quasi un mese, sia per ovvi motivi di sicurezza, «non sappiamo neanche dove andrà a mangiare», confessano a palazzo Chigi. Si parla di visite ad Anzio e a Cassino, ma non si sa ancora bene quando e come. La presenza di Rutelli e Fassino è allo stato un desiderata, così come quella di Romano Prodi che verrebbe invitato come presidente Ue e in questa veste parteciperebbe. Walter Veltroni, nel frattempo, ha già fatto spostare appuntamenti e concerti previsti per il 4 giugno (liberazione di Roma) alla domenica 6.
Ma è già in agitazione il fronte pacifista. Oliviero Diliberto, leader del Pdci, chiama a raccolta «il popolo della pace per una grande mobilitazione contro Bush le cui mani grondano sangue», e al Listone manda a dire: «Questo non è il momento dell’unità nazionale, ma di aumentare l’offensiva contro il governo». Il verde Paolo Cento non è da meno: «Il tormentone ormai non è più la mozione sull’Iraq, ma che cosa succederà il 4 giugno. Noi saremo in piazza contro Bush, il Listone parteciperà alle cerimonie».

 
Griffato Guevara PDF Stampa E-mail
Scritto da repubblica.it   
Venerdì 07 Maggio 2004 01:00

Il volto del Che fa tendenza, ovvero come trasformare un icona rivoluzionaria in un logo alla moda.

Su tazze, t-shirt, accendini, bandiere e orologi. Come un’icona politica è diventata il logo dei no-logo. Ernesto Che Guevara è oggi un simbolo per gli schiavi della fashion-globalizzazione. E ancora una volta ci sono di mezzo gli americani. Infatti è negli Stati Uniti che, soprattutto negli ultimi anni, è cresciuto il business legato alla celebre foto di Alberto Korda scattata nel 1960. Per farsene un’idea basta entrare da Sam&Seb, boutique per bambini “cool” newyorchesi: qui, tra minuscoli Levi’s e baby-top di Dries Van Noten, pensati per non far sembrare un bambino di tre anni, appunto, un bambino di tre anni, si può trovare tutta una linea di magliette dedicata al Che. «Sempre più genitori vengono a comprare per i loro piccoli le t-shirt con l’immagine del rivoluzionario», racconta la proprietaria del negozio, Simone Manwarring, al New York Times. «E a tutto pensano fuorché all’ideologia o alla storia che, invece, è stata presa a baluardo da intere generazioni». E che dire dello shopping su Internet? «Negli ultimi sei mesi le vendite di gadget sul sito www.thechestore.com sono aumentate del 40 per cento», racconta sempre al quotidiano il gestore del sito John Trigiani, che cominciò a vendere gli accessori del Che online solo nel 1999. Ma a cosa è dovuto questo rinnovato interesse nei confronti del personaggio? «Penso che uno dei motivi sia da ricercare in Mike Tyson», sostiene Trigiani. Anni fa, infatti, il campione sfoggiava un’immagine del Che sulla cassa toracica. Inoltre, di recente sono usciti due film dedicati a Che Guevara: The Motorcycles Diaries, presentato al Sundance Film Festival lo scorso gennaio, e Che, che sarà in produzione il prossimo anno. Ma attenzione: l’ideologia sembra davvero che non abbia niente a che vedere con la moda, l’abbigliamento o i gadget che impazzano tra i fashion-victims. «Ho incontrato uno studente del college che voleva la t-shirt senza sapere nemmeno a chi appartenesse quella faccia», aggiunge Trigiani. L’immagine del rivoluzionario argentino-cubano, insomma, attrae come un marchio estetico piuttosto che politico: «Il prossimo volto che ci piacerebbe sfruttare è quello di Mao Zedong», dice la signora Manwarring, «che è popolare quanto quello del Che».

 
Riprende il dibattito sull'infibulazione PDF Stampa E-mail
Scritto da AGI   
Giovedì 06 Maggio 2004 01:00

Una questione delle più controverse e delle meno risolvibili nell'ottica multietnica

AGI - Riprende in questi giorni l'esame, in Aula alla Camera, della proposta di legge per la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile.
L'Assemblea di Montecitorio ha esaminato il testo fino all'articolo 6, mentreè stato accantonato l'articolo 5 che prevede la possibilità di concedere lo status di rifugiate alle donne che sottraggono se stesse o le figlie minori alle mutilazioni genitali femminili nei paesi di origine dove queste mutilazioni non sono vietate. L'articolo è stato accantonato per il parere negativo espresso dalla commissione Bilancio in relazione ai problemi di copertura finanziaria che potrebbero nascere a seguito dei possibili ricongiungimenti familiari.

 
A morte per aver propagato l'aids PDF Stampa E-mail
Scritto da www.noreporter.org   
Giovedì 06 Maggio 2004 01:00

Due medici e cinque infermieri, riconosciuti in Libia colpevoli di infanticidio e di epidemia, andranno incontro alla pena capitale. Ben diversamente dagli analoghi casi in Europa.

In tribunaledi Bengasi,alla conclusione diun processo durato quattro anni, ha condannato a morte sei bulgari e un palestinese riconosciuti colpevoli di aver propagato l’aids in un ospedale pediatrico.

La sentenza è stata pronunciata in virtù della legge 305 che stipula la pena capitale nei confronti di chiunque causi la morte di più di una persona.

Il tribunale ha stabilito che i sette, due medici e cinque infermieri, hanno causato la morte di 46 bambini e ne hanno infettati 380 e che, pertanto, saranno fucilati.

La notizia è stata resa nota dall’agenzia di stampa francese AFP che ha omesso di ricordare come, in un caso identico, medici e uomini politici francesi colpevoli coscientemente del medesimo reato compiuto a solo scopo di lucro se la cavarono, Oltralpe, con pene irrisorie che non hanno nemmeno stroncato le carriere politiche di chi fu coinvolto nell’olocausto degli emotrasfusi.

 
Restituire le ali all'Italia PDF Stampa E-mail
Scritto da Rinascita   
Giovedì 06 Maggio 2004 01:00

La storia della livrea italica in una Lettera al Presidente del Consiglio.

Illustre

Presidente Berlusconi,

Lei aveva solo 11 anni quel 5 maggio 1947, quando dall’aeroporto di Torino decollava un aereo G-12 denominato “Alcione”, il comandante Virginio Reinero si dirigeva a Roma e poi a Catania: era il primo volo Alitalia.Due mesi dopo, il 6 luglio, un volo Roma- Oslo inaugurava i voli internazionali della nostra compagnia di bandiera.E, chissà, forse era anche lei sulla ter­razza di Linate, nel marzo del 1948, ad ammirare un Lancastrian partire dalla sua città per il primo volo intercontinentale. In 35 ore sarebbe giunto nella terra dell ‘emi­grazione italiana, l‘Argentina, con scali a Roma, Dakar, Natal, Rio de Janeiro, San Paolo e, infine, Buenos Aires.

Per vedere a bordo le prime hostess bisognerà attendere il 1950. Ancora non si parlava di “made in Italy”, ma le hostess Alitalia saranno subito elegantissime, ambasciatrici della moda italiana nel mondo, vestite dalle creazioni delle Sorelle Fontana. E nel 1951, a bordo dei DC-4, Alitalia servirà i primi pasti caldi durante il volo.A quell‘epoca Alitalia è la 200 compa­gnia aerea al mondo per importanza, ma già nel 1957 sarà 12.

Nel 1960 la flotta si arricchisce dei modernissimi Dc-8 e Caravelle; Alitalia è vettore ufficiale delle Olimpiadi di Roma e raggiunge il traguardo del milione di passeggeri trasportati.

Nel 1969 Alitalia sarà la prima compagnia europea a volare con una flotta di soli jet e la settima compagnia al mondo nella classifica del traffico internazionale.

Proprio quell’anno, però, c’è la prima avvisaglia di “globalizzazione”. La livrea azzurra degli aeromobili, i colori nazionali, viene sostituita da una riga verde lungo tutta la fusoliera, ma sul timone una “A” stilizzata è ancora tricolore: Alitalia è sempre la compagnia di bandiera.

All‘inizio degli anni ‘70 entreranno in servizio i giganteschi B-747, meglio noti come Jumbo, e tre anni dopo Alitalia con­quisterà i mercati orien­tali raggiungendo Tokyo attraverso la rotta transiberiana.

Questa, signor pre­sidente, era l‘Alitalia compagnia di bandiera italiana, orgoglio nazio­nale nel mondo, amba­sciatrice di sicurezza, precisione, affidabilità, confortevolezza ed ele­ganza.Politiche scellerate di governi felloni e di una dirigenza Alitalia incapace e complice di chi operava per le pri­vatizzazioni selvagge hanno ridotto questo gioiello in un rottame. Signor presidente, Lei che si e sempre dichiarato un vincente, accetti questa sfida, riporti l‘Alitalia al suo antico splendore restituendola agli italiani.Nessuna privatizzazione, nessuna cessione allo straniero: nuovamente Compagnia di Bandiera.Lo Stato intervenga, non per turare le falle con uno straccio, ma con

 
Giovani sempre più violenti PDF Stampa E-mail
Scritto da il messaggero   
Giovedì 06 Maggio 2004 01:00

Dilaga il preoccupante fenomeno della violenza giovanile. Ormai i ragazzi uccidono per un sorriso, per uno sguardo, per una parola di troppo. O semplicemente per noia.

ROMA - Uno l’ha fatto per uno sorriso, l’altro per uno sguardo e l’ultimo per una parola di troppo. Storie di giovani e di coltelli. Di ragazzi di appena 16 o 17 anni che pur di non sfigurare agli occhi della fidanzatina non hanno esitato a uccidere il presunto avversario. Tre casi in neppure cinque mesi: da febbraio a oggi. Dall’estremo Sud all’estremo Nord del Paese: da Agrigento a Como, passando per Napoli. Tre giovani vite spezzate da altrettanti minorenni. E solo per un sorriso, uno sguardo o una parola di troppo. Certo, casi limite. Anche se per Simonetta Matone, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei minori di Roma, quello della violenza tra i giovani è «un fenomeno che coinvolge tanto i ragazzi quanto le ragazze. E purtroppo, si tratta di un trend in continua crescita. Che affonda le sue radici tanto nelle situazioni di degrado ambientale o di arretratezza culturale quanto in quelle dove benessere e regole non mancano».
Aggiunge il magistrato: «Nel ’53, quando sono nata io il ricorso alla violenza rappresentava l’estrema ratio. Oggi è come se i ragazzi non ci trovassero niente di strano, come se girare con un coltello in tasca fosse una cosa assolutamente normale. Anche se, per fortuna, in Italia il numero di omicidi non è in aumento. Viceversa, crescono i casi di lesioni non gravi (nasi spaccati, per intenderci).
Poco più di 1.500 i ragazzi che nel corso del 2003 hanno fatto il loro ingresso negli Istituti penali per minorenni, di cui 1.325 maschi e 256 femmine. Più elevato il numero dei minori mandati nei Centri di prima accoglienza e cioè le strutture filtro che accolgono quelli appena arrestati prima che il Gip decida tra il carcere o la misura detentiva alternativa: 3.524 (2.806 uomini e 716 donne). Circa 1.000 i procedimenti che i sette magistratii della Procura presso il Tribunale dei minori di Roma esaminano ogni mese. Di questi due terzi riguardano reati penali e un terzo quelli civili.
Ma qual è il ruolo delle famiglie? Il criminologo Pino Centomani non ha dubbi: «Determinante. Ma in una realtà che diventa sempre più complessa padri e madri hanno, però, bisogno di aiuti significativi: è necessario che il contesto sociale investa in modo sistematico sulla promozione della qualità della vita. Coinvolgendo tutte quelle figure che hanno a che fare con i ragazzi: genitori, insegnanti, parrocchie, allenatori sportivi e soprattutto insegnanti». E’ il messaggio che arriva dalla società e il suo «imbarbarimento», secondo Centomani la principale causa della devianza giovanile. Sottolinea il criminologo: «Un modello dove tutto è imbarbarito, dove tutto sembra accettabile. Con fiction in cui pure il buono non esita a imbracciare il kalaschnicov e programmi spazzatura di pomeriggio in pomeriggio banalizzano le esperienze della relazione affettiva. In questo contesto non c’è da stupirsi se i nostri ragazzi, ricchi o poveri che siano, non hanno più la capacità di riconoscere il confine tra lecito e illecito. Anzi. Paragonati ai loro coetanei Usa che a scuola ci vanno addirittura con la pistola, tutto sommato, sono fin troppo tranquilli».
Intanto, da febbraio a maggio, tre di loro hanno ucciso. E solo per uno sguardo, un sorriso. O, com’è successo sul lungomare di Agrigento l’altro ieri, per una parola di troppo. Per una parola di troppo, un ragazzo di 17 anni ha spaccato il cuore di un ventenne. Con una coltellata.

 

Occupazioni e Occupa$$ioni PDF Stampa E-mail
Scritto da Noreporter.org   
Giovedì 06 Maggio 2004 01:00

Contributi pubblici ai leoncavallini, voto trasversale a Milano. Soddisfazione PRC.

Emendamento al Bilancio. Voti a favore anche dal Polo
«Un segnale importante di dialogo anche nei confronti di questa parte della città». Così il capogruppo di Rifondazione comunista in consiglio comunale, Gianni Occhi, ha commentato l’approvazione, avvenuta a sorpresa ieri sera, di un emendamento al bilancio che destina 30 mila euro a favore delle attività culturali delle associazioni legalmente riconosciute e dei centri sociali milanesi. È la prima volta che il documento contabile della città prevede contributi per i leoncavallini e gli altri rappresentanti dei discussi centri giovanili. La presentazione del documento ha provocato un vivace dibattito che ha diviso la maggioranza in Consiglio comunale. Il testo è stato infatti approvato con i voti favorevoli di tutta l’opposizione e dai rappresentanti di maggioranza Milko Pennisi e Carmelo Gambitta (Forza Italia), Giovanni Testori e Maria Grazia Parlanti (Udc). Otto i consiglieri contrari e 6 gli astenuti, tra cui Fabrizio De Pasquale e Paolo Massari, dell’area «liberal» di Forza Italia
 
Parla Juan Domingo Peròn PDF Stampa E-mail
Scritto da asslimes.com   
Giovedì 06 Maggio 2004 01:00

Riproponiamo l’intervista concessa da Juan Domingo Peròn al celebre ideologo nazionalrivoluzionario belga Jean Thiriart il 7 novembre 1968 e che fu pubblicata in francese per la rivista "La Nation Europeen" n° 30 nel febbraio 1969

J. Thiriart: Juan Peròn, potrebbe parlarci brevemente dell'opera appena pubblicata "L'ora dei popoli"?
J. D. Peròn: In quel libro ho voluto dare una visione congiunta dell'impresa per la dominazione capitalista in America Latina. Io penso che i paesi latino-americani si incamminino verso la loro liberazione. È chiaro, questa liberazione sarà lunga e difficile giacché interessa la totalità dei paesi dell'America del Sud. Non è pensabile affatto che ci sia un uomo libero in un paese schiavo, ne un paese libero in un continente schiavo. Durante dieci anni in Argentina con il governo giustizialista abbiamo vissuto in una nazione sovrana. Nessuna persona poteva intromettersi nei nostri affari interni senza dover discutere con noi. Però durante questi dieci anni l'insieme delle forze imperialiste, che dominano attualmente il mondo, ci ha presi in noia. Una quinta colonna di «lacchè», come noi li chiamiamo, ha iniziato un efficace lavoro di zappa e il governo da me presieduto fu abbattuto. Ciò prova che se i popoli possono arrivare a liberarsi dalla schiavitù imperialista, rimane molto più difficile per loro conservar l'indipendenza, poiché le forze internazionali che io denuncio, prendono loro la mano. In tal senso la caduta del giustizialismo deve essere una lezione e una esperienza per tutti i paesi che vogliono liberarsi e tali rimanere. Bisogna intraprendere la lotta di liberazione dei paesi dell'America del Sud come una lotta globale o a livello di continente e in tale lotta ogni paese deve essere solidale coi propri vicini e fra loro deve esserci pieno appoggio. Il primo imperativo per questi paesi è perciò unirsi e integrarsi. Il secondo punto è realizzare una alleanza effettiva con il Terzo Mondo. Così come noi, i miei collaboratori e io, prevedemmo venticinque anni fa. Questa è la via che bisogna indicare ai popoli sud-americani; non solo ai dirigenti, ma anche alle masse popolari che devono prendere coscienza delle necessità della lotta contro l'imperialismo. Unificare il continente, liberarlo dalle influenze estere e allearsi col Terzo Mondo per partecipare nelle file mondiali alla lotta contro l'imperialismo sono, di conseguenza, i primi obiettivi. Dopo il processo di liberazione interna può avvenire che il popolo ottenga il governo che reclama tutti i giorni e che gli è negato in continuazione, a causa della successione di dittature effimere e di governi fantoccio collocati grazie a imposizioni, mai ad elezioni, e che mantengono il popolo sotto diverse dominazioni. È questo il processo che il mio libro vuol fare comprendere alle masse popolari.

Jean Thiriart: C'è in America del Sud una classe sociale, una borghesia, che collabora sistematicamente con gli Stati Uniti?
J. D. Peròn: Disgraziatamente sì! Nel nostro paese, la divisione tra il popolo e l'oligarchia capitalista è molto netta. Lo stesso è tra il popolo e la nuova borghesia di mercanti che si sviluppa rapidamente. In ogni industriale che si fa ricco dorme un oligarca in potenza. L'oligarchia che domina il paese non può sottostimare le forze di lotta delle immense masse popolari che esigono la loro libertà. Questo è il movimento che noi abbiamo messo in marcia, in certa misura, durante i dieci anni di governo giustizialista. Il giustizialismo è una forma di socialismo, un socialismo nazionale, che risponde alle necessità e alle condizioni di vita dell'Argentina. È naturale che questo socialismo abbia entusiasmato le masse popolari e che in conseguenza di ciò si manifestino le rivendicazioni sociali. Esso ha creato un sistema sociale di fatto totalmente nuovo e totalmente differente dall'antico liberalismo «democratico» che ha dominato il paese e che si era posto, senza alcuna vergogna, al servizio dell'imperialismo yankee.

Jean Thiriart: In Europa gli americani hanno corrotto tutte le tendenze polit

 
Reso finalmente onore agli Ascari PDF Stampa E-mail
Scritto da www.noreporter.org   
Mercoledì 05 Maggio 2004 01:00

Dopo sei decenni di silenzio ed una pensione da fame.

Doposessant'anni gli Ascari, ovvero le valorose truppe indigene dell'Africa Orientale Italiana, ottengono il giusto riconoscimento.

Saranno però soltanto 173 gli ottuagenari superstiti che percepiranno la sostanziosa liquidazione che corrisponde al dovuto riconoscimento. Fino ad oggi ai nostri combattenti coloniali era stata assegnata una pensione da fame (pari a 25 euro mensili nell'ultimo aggiustamento).

Il valore degli Ascari fu assoluto e rimarchevole ed è stato tramandato da tutti i combattenti delle guerre d'Africa e anche dai giovani ufficiali che parteciparono, nei sette anni successivi alla sconfitta, al periodo di transizione che aveva trasformato la colonia somala in protettorato provvisorio in attesa che fosse concessa l'indipendenza istituzionale.

Quello somalo è da sempre popolo guerriero, come hanno scoperto i soldati americani a proprie spese agli inizi degli anni novanta.

 
E’ gelo tra Santa Sede e Israele PDF Stampa E-mail
Scritto da ilvelino.it   
Mercoledì 05 Maggio 2004 01:00

ECCO PERCHÉ IL PAPA NON ANDRÀ IN SINAGOGA

1 - ECCO PERCHÉ IL PAPA NON ANDRÀ IN SINAGOGA
Giovanni Paolo II non andrà in Sinagoga. Il 23 maggio, al suo posto, a celebrare i cento anni del Tempio romano, dietro insistente invito della comunità ebraica, ci saranno i cardinali Camillo Ruini (vicario del Papa per la diocesi di Roma e presidente dei vescovi italiani) e Walter Kasper (presidente della commissione per i rapporti religiosi con l¹ebraismo).
Il Papa ha dunque rifiutato l¹invito del rabbino capo Riccardo Shmuel Di Segni. Una mossa ³strategica² quella di Karol Wojtyla che se da una parte è giustificata dal fatto di voler rendere ³unica² e ³memorabile² la sua visita del 13 aprile 1986, dall¹altra è un sintomo esplicito del gelo tra Santa Sede e Israele.
Infatti, il Vaticano non dimentica lo ³sgarbo² fatto dal governo israeliano in occasione della visita del cardinale Ignace Moussa I David (prefetto della congregazione per le Chiese Orientali) lo scorso 14 aprile, quando le autorità israeliane gli hanno impedito l¹accesso alla basilica di Betlemme per ³ragioni di sicurezza². Così come la diplomazia vaticana è ancora ³imbarazzata² per il mancato rinnovo dei visti d¹ingresso a decine di preti, religiosi e suore attivi da anni nei Luoghi Sacri.
In più, certo, non rasserenano il clima le recenti polemiche sul film di Mel Gibson ³The Passion², per il quale i rabbini di tutto il mondo hanno chiesto al Vaticano una ³condanna formale² dei presunti atteggiamenti antisemitici contenuti nella pellicola. A questo si aggiungano anche il vertiginoso calo di pellegrini (le stime ufficiali parlano di oltre due milioni di fedeli in meno) in Terra Santa e la condanna esplicita della politica di Sharon verso i palestinesi da parte del Pontefice.
È chiaro che una visita del Papa in sinagoga dagli israeliani sarebbe stata accolta come una sorta di ³tregua², ma il Vaticano ha deciso per il no. E del resto l¹accettazione dell¹invito da parte di Papa Wojtyla sarebbe stata interpretata come una sorta di ³dietrofront². Solo nel giugno del 2003, Giovanni Paolo II, ricevendo in udienza il nuovo ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Oded Ben-Hur, aveva chiaramente lanciato il suo ³ultimatum² ad Ariel Sharon: ³I popoli hanno il diritto di vivere in sicurezza e implicitamente hanno un corrispondente dovere: il rispetto dei diritti degli altri². Per questo, per il Papa, è essenziale che palestinesi e israeliani possano vivere ³in due stati indipendenti e sovrani².
 
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